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Paul Davies 

~ La creazione senza creazione «


Dopo l'abbandono della teoria dello stato stazionario, sembrò che gli scienziati si trovassero di fronte a una rigida alternativa riguardo all'origine dell'universo. Si poteva o credere che l'universo avesse un'età infinita, con tutti i paradossi fisici che ne derivano, oppure assumere un inizio improvviso del tempo (e dello spazio), la cui spiegazione sfuggisse all'ambito della scienza. Venne trascurata una terza possibilità: che il tempo potesse essere limitato nel passato e, tuttavia, non aver avuto inizio improvvisamente in una singolarità.

Prima di entrare nei particolari, vorrei fare una considerazione di carattere generale, ossia affermare che l'essenza del problema dell'origine è che il big bang appare come un evento senza una causa fisica. Ciò è in genere considerato in contraddizione con le leggi della fisica. C'è, comunque, una minuscola scappatoia. Questa scappatoia è chiamata meccanica quantistica. Le applicazioni della meccanica quantistica sono normalmente limitate agli atomi, alle molecole e alle particelle subatomiche. Gli effetti quantistici sono di solito trascurabili per gli oggetti macroscopici. Ricordiamo che alla base della fisica quantistica c'è il principio di indeterminazione di Heisenberg, secondo il quale tutte le quantità misurabili (per esempio la posizione, la quantità di moto, l'energia) sono soggette a impredicibili fluttuazioni di valore. Questa impredicibilità implica che il microcosmo è indeterministico: per usare il frasario pittoresco di Einstein, Dio gioca a dadi con l'universo. Perciò gli eventi quantistici non sono determinati in modo assoluto da cause precedenti. Benché la probabilità di un dato evento (per esempio il decadimento radioattivo di un nucleo atomico) sia fissata dalla teoria, il risultato effettivo di un particolare processo quantistico non è conosciuto e non può essere conosciuto, neppure in linea di principio.

Indebolendo il legame tra causa ed effetto, la meccanica quantistica fornisce un modo sottile di aggirare il problema dell'origine dell'universo. Se si trovasse il modo di consentire all'universo di aver origine dal nulla come risultato di una fluttuazione quantistica, allora nessuna legge della fisica risulterebbe violata. In altre parole, dal punto di vista di un fisico quantistico l'apparizione spontanea di un universo non è poi una tale sorpresa, perché gli oggetti fisici appaiono di continuo in modo spontaneo - senza cause ben definite - nel microcosmo quantistico. Il fisico quantistico non ha bisogno di fare appello a un atto soprannaturale per spiegare l'origine dell'universo, più di quanto ne abbia bisogno per spiegare perché un nucleo radioattivo è decaduto.

Tutto questo dipende, naturalmente, dalla validità della meccanica quantistica quando la si applica all'universo nel suo complesso. E si tratta di una questione ancora non perfettamente chiarita. A parte la straordinaria estrapolazione richiesta nell'applicare una teoria delle particelle subatomiche all'intero cosmo, vi sono profonde questioni di principio relative al significato da attribuire a certi oggetti matematici nella teoria. Ma molti insigni fisici hanno sostenuto che si può far funzionare la teoria in maniera soddisfacente anche in questa situazione, e così è nata la cosmologia quantistica.

La giustificazione della cosmologia quantistica è che, se il big bang viene preso sul serio, ci deve essere stato un tempo in cui l'universo era ridotto dalla compressione a dimensioni minute. In queste circostanze i processi quantishci devono essere stati importanti. In particolare le fluttuazioni descritte dal principio di indeterminazione di Heisenberg devono avere avuto un profondo effetto sulla struttura e sull'evoluzione del cosmo nascente. Un semplice calcolo ci rivela di quale epoca si trattava. Gli effetti quantistici erano importanti quando la densità della materia aveva uno sbalorditivo valore di 1094 gm cm-3. Questo stato di cose esisteva prima di 10-43 secondi dal big bang, quando l'universo era largo semplicemente 10-33 cm. Ci si riferisce a questi valori, rispettivamente, come alla densità, il tempo e la distanza di Planck, da Max Planck, il pioniere della teoria quantistica.

La capacità delle fluttuazioni quantistiche di "increspare" il mondo fisico su scala ultra-microscopica conduce a una predizione affascinante sulla natura dello spazio-tempo. I fisici possono osservare le fluttuazioni quantistiche in laboratorio fino alla distanza di circa 10-16 cm e per un tempo di circa 10-26 secondi. Queste fluttuazioni interessano per esempio la posizione e la quantità di moto delle particelle, e hanno luogo su uno sfondo spazio-temporale apparentemente fisso. Sulla scala molto più piccola dei valori di Planck, tuttavia, le fluttuazioni interesserebbero anche lo stesso spazio-tempo.

Per comprendere in che modo, per prima cosa è necessario rendersi conto dello stretto collegamento tra spazio e tempo. La teoria della relatività richiede di considerare lo spazio tridimensionale e il tempo unidimensionale come parti di un spazio-tempo unificato a quattro dimensioni. Nonostante l'unificazione, lo spazio rimane fisicamente distinto dal tempo. Noi non abbiamo nessuna difficoltà a distinguerli nella vita quotidiana. Tuttavia tale distinzione può diventare confusa a causa delle fluttuazioni quantistiche. Sulla scala di Planck, spazio e tempo possono perdere la loro identità separata. Il modo preciso in cui ciò avviene dipende dai dettagli della teoria, che possono essere usati per calcolare le relative probabilità delle varie strutture spazio-temporali.

Può succedere che, come risultato di questi effetti quantistici, la struttura dello spazio-tempo più probabile in certe circostanze sia effettivamente lo spazio quadridimensionale. James Hartle e Stephen Hawking hanno sostenuto che proprio tali circostanze erano quelle prevalenti nei primi istanti di vita dell'universo. Cioè, se immaginiamo di andare a ritroso nel tempo verso il big bang, quando ci troviamo circa un'unità di tempo di Planck dopo quella che ritenevamo la singolarità iniziale, comincia ad accadere qualcosa di strano. Il tempo comincia a "trasformarsi" in spazio. Piuttosto che occuparci dell'origine dello spazio-tempo, dobbiamo perciò confrontarci con lo spazio-tempo quadridimensionale, e sorge il problema della forma di quello spazio, cioè della sua geometria. In realtà la teoria permette una varietà infinita di forme. Il problema di stabilire quale sia quella pertinente all'universo reale è collegato al problema di scegliere le giuste condizioni iniziali, argomento che verrà presto discusso più dettagliatamente. Hartle e Hawking hanno fatto una scelta particolare, che secondo loro è quella naturale sul piano dell'eleganza matematica.

È possibile offrire un'utile rappresentazione figurativa della loro idea. Il lettore è, tuttavia, avvertito di non prendere troppo alla lettera le immagini. Il punto di partenza consiste nel rappresentare lo spazio-tempo con un diagramma in cui il tempo è tracciato in senso verticale e lo spazio in senso orizzontale (figura 1). Il futuro si trova verso la sommità del diagramma, il passato verso il fondo. Dal momento che è impossibile rappresentare in modo appropriato le quattro dimensioni sulla pagina di un libro, ho eliminato tutte le dimensioni spaziali tranne una, che è tuttavia adeguata a illustrare i punti essenziali. Una linea orizzontale che attraversa il diagramma rappresenta tutto lo spazio in un istante di tempo e una linea verticale rappresenta la storia di un punto dello spazio in istanti di tempo successivi. È utile immaginare che il diagramma sia disegnato su un foglio di carta su cui si possono eseguire certe operazioni (il lettore può trovare istruttivo eseguirle davvero).

Figura 1 

Diagramma spaziotemporale. Il tempo è rappresentato verticalmente, lo spazio orizzontalmente. Il diagramma mostra una sola dimensione spaziale. Una sua sezione orizzontale rappresenta la totalità dello spazio in un istante temporale; una linea verticale rappresenta un punto spaziale fisso (per es. la posizione di una particella stazionaria) attraverso il tempo.

Se lo spazio e il tempo fossero infiniti, avremmo bisogno, a rigore, di un foglio di carta infinito perché il nostro diagramma rappresenti in modo appropriato lo spazio-tempo. Tuttavia, se il tempo è limitato nel passato, il diagramma deve avere un confine da qualche parte lungo il lato inferiore: si può immaginare di tagliare un margine orizzontale in un punto qualsiasi. Può anche avere un confine nel futuro, che richiede un margine simile lungo il lato superiore (ho indicato tali confini con linee orizzontali ondulate nella figura 2). In tal caso avremmo una striscia infinita che rappresenta tutto lo spazio infinito nei momenti successivi, dall'inizio dell'universo (nel margine inferiore) alla fine (nel margine superiore).

Figura 2 

È possibile che il tempo sia limitato da singolarità nel passato e/o nel futuro; questa situazione viene rappresentata troncando il diagramma spaziotemporale in basso e in alto rispettivamente. Le linee ondulate indicano le singolarità.

A questo punto si può considerare la possibilità che lo spazio, dopo tutto, non sia infinito. Einstein fu il primo a mettere in evidenza il fatto che lo spazio potrebbe essere finito sebbene illimitato, e l'idea resta un'ipotesi cosmologica seria e controllabile. Una tale possibilità si può facilmente rendere nella nostra immagine arrotolando il foglio in modo tale da formare un cilindro (figura 3). Lo spazio in ciascun istante è ora rappresentato da un cerchio di circonferenza finita (l'equivalente bidimensionale è la superficie di una sfera; nel tridimensionale l'equivalente èuna cosiddetta ipersfera, difficile da immaginare, ma perfettamente definita e comprensibile dal punto di vista matematico).

Figura 3

E possibile che lo spazio sia finito ma illimitato; questa situazione viene rappresentata arrotolando il diagramma spaziotemporale in modo da formare un cilindro. Una sezione orizzontale che rappresenta lo spazio in un istante diventa così un cerchio.

Un ulteriore affinamento consiste nell'introdurre l'espansione dell'universo, che può essere rappresentata facendo in modo che la forma dell'universo cambi con il tempo. Visto che siamo interessati all'origine dell'universo, ignorerò il margine superiore del diagramma, e mostrerò solamente la porzione vicina al fondo. Il cilindro ha assunto adesso la forma di un cono; alcuni cerchi sono disegnati per rappresentare il volume in espansione dello spazio (figura 4). 

Figura 4 

Universo in espansione. L'effetto di espansione cosmologica può essere rappresentato nel nostro diagramma spaziotemporale trasformando il cilindro della fig. 3 in un cono. Il vertice del cono corrisponde alla singolarità del big bang. Le sezioni orizzontali del cono sono cerchi di diametro crescente che indicano l'aumento di grandezza dello spazio.

L'ipotesi che l'universo ebbe origine in una singolarità di compressione infinita è raffigurata qui dal fatto che il cono finisce a punta alla base del diagramma. li vertice del cono rappresenta l'apparizione improvvisa sia dello spazio sia del tempo nel big bang.

La tesi fondamentale della cosmologia quantistica è che il principio di indeterminazione di Heisenberg rende il vertice meno appuntito, sostituendolo con qualcosa di più smussato. Che cosa sia questo qualcosa dipende dal modello teorico, ma nel modello di Hartle e Hawking una guida approssimativa consiste nell'arrotondare il vertice nel modo illustrato nella figura 5, dove la punta del cono è sostituita da una semisfera. 

Figura 5 

Creazione senza creazione. In questa versione dell'origine dell'universo il vertice del cono della fig. 4 è smussato. Non esiste un inizio improvviso: il tempo svanisce gradualmente verso la base del diagramma. L'evento P assomiglia ad un primo istante, ma questo è solo un effetto del modo in cui è disegnato il diagramma. Non esiste un inizio ben definito, nonostante il tempo sia ancora finito in direzione del passato.

Il raggio di questa semisfera è la lunghezza di Planck (10-43 cm), molto piccola per gli standard umani, ma infinitamente grande in confronto a una singolarità puntiforme. Al di sopra di questa semisfera il cono si allarga nel solito modo, rappresentando lo sviluppo standard, non-quantistico, dell'universo in espansione. Qui - nella porzione superiore, sopra il punto di congiunzione con la semisfera - il tempo scorre verticalmente lungo il cono nel modo usuale, ed è fisicamente del tutto separato dallo spazio, che si estende orizzontalmente mtorno al cono. Sotto il punto di congiunzione, tuttavia, la situazione è drasticamente diversa. La dimensione temporale comincia a curvarsi sulla direzione spaziale (cioè quella orizzontale). Vicino alla base della semisfera si ha una superficie bidimensionale curva, approssimativamente orizzontale. Questa rappresenta uno spazio bidimensionale, piuttosto che la combinazione di una dimensione spaziale e di una temporale. Si noti che la transizione dal tempo allo spazio è graduale; non si deve pensare che si verifichi improvvisamente nel punto di congiunzione. In altre parole, si potrebbe dire che il tempo sorge gradualmente dallo spazio man mano che il cono sorge gradualmente dalla semisfera. Si noti anche che in questo schema il tempo è ancora limitato in basso - non si estende a ritroso fino al passato infinito - ma, in realtà, non c'è nessun "primo momento" del tempo, nessun inizio improvviso in una origine singolare. La singolarità del big bang è stata, in effetti, abolita.

Si potrebbe essere ancora tentati di considerare la base della semisfera - il "Polo Sud" - come l'origine dell'universo, ma, come sottolinea Hawking, questo sarebbe un errore. Una porzione della superficie sferica è caratterizzata dal fatto che, da un punto di vista geometrico, tutti i punti su di essa sono equivalenti. Vale a dire, nessun punto si differenzia perché privilegiato in qualche modo. La base della semisfera ci appare particolare per il modo che abbiamo scelto di rappresentare il foglio incurvato. Se il cono viene leggermente inclinato, qualche altro punto diventa la "base" della struttura. Hawking fa notare che la situazione ricorda vagamente il nostro modo di rappresentare geometricamente la superficie sferica della Terra: le linee della latitudine convergono sul polo Sud e sul polo Nord, ma la superficie della Terra ai poli è la stessa che in ogni altro luogo. Avremmo potuto allo stesso modo scegliere come centro di questi cerchi la Mecca o Hong Kong (la scelta effettiva è stata determinata dall'asse di rotazione della Terra, un aspetto che non è pertinente a questa discussione). Non vi è il minimo suggerimento che la superficie della Terra finisca improvvisamente ai poli. C'è, certamente, una singolarità nel sistema delle latitudini e delle longitudini, ma non una singolarità fisica nella geometria.

Per chiarire ulteriormente questo punto, si immagini di fare un piccolo foro nel "polo Sud" della semisfera della fig.5, e poi di allargare il foglio intorno al foro (supponiamo che sia elastico) per fare un cilindro, infine di aprire il cilindro e di stenderlo per formare un foglio piano. Finiremmo con l'ottenere la stessa immagine della fig. 2. Il punto è che quello che prima consideravamo un'origine singolare del tempo (il margine inferiore) è effettivamente la singolarità della coordinata corrispondente al polo Sud, infinitamente estesa. La stessa cosa accade con le mappe della Terra nella proiezione di Mercatore. Il polo Sud, che è in realtà un punto perfettamente ordinario della superficie della Terra, è rappresentato da una linea di confine orizzontale, come se la superficie della Terra avesse lì un margine. Ma il margine è semplicemente un prodotto artificiale del modo con cui abbiamo scelto di rappresentare la geometria sferica mediante un particolare sistema di coordinate. Siamo liberi di ridisegnare una mappa della Terra usando un sistema di coordinate diverso, con qualche altro punto selezionato come punto focale per i cerchi della latitudine, nel qual caso il polo Sud apparirebbe sulla mappa per quello che realmente è - un punto perfettamente normale.

La conclusione è che, secondo Hartle e Hawking, non c'è nessuna origine dell'universo. Tuttavia, questo non significa che l'universo abbia un'età infinita: il tempo è limitato nel passato, ma come tale non ha un confine. Così secoli di travaglio filosofico sui paradossi del tempo infinito contro quello finito si concludono con una soluzione elegante. Hartle e Hawking riescono ingegnosamente a passare attraverso le corna di quel particolare dilemma. Per dirla con Hawking: "La condizione al contorno [boundary condition] dell'universo è che esso non ha un confine [boundary]".

Le implicazioni dell'universo di Hartle-Hawking per la teologia sono profonde, come osserva lo stesso Hawking: "Finché l'universo aveva un inizio, potevamo supporre che avesse un creatore. Ma se l'universo è completamente autosufficiente, senza un confine o un margine, non ha né un principio né una fine: semplicemente c'è. In tal caso, c'è ancora posto per un creatore?"

Secondo questo argomento dunque, dato che l'universo non ha un'origine singolare nel tempo, non c'è alcun bisogno di appellarsi a un atto soprannaturale di creazione. Il fisico britannico Chris Isham, anch'egli esperto di cosmologia quantistica, ha condotto uno studio sulle implicazioni teologiche della teoria di Hartle-Hawking: "Non c'è alcun dubbio che, psicologicamente parlando, l'esistenza di un punto iniziale tende a generare l'idea di un Creatore che dà il via allo spettacolo", scrive Isham. Ma queste nuove idee cosmologiche allontanano la necessità, ritiene, di invocare un "Dio tappabuchi" come causa del big bang: "Le nuove teorie sembrano tappare questo buco con notevole precisione".

Sebbene Hawking proponga un universo senza una origine definita nel tempo, secondo la sua teoria si può anche affermare che l'universo non è sempre esistito. E' corretto allora dire che l'universo "ha creato se stesso"? Io preferirei dire che l'universo dello spazio-tempo e della materia è internamente coerente e autosufficiente. La sua esistenza non richiede nulla al di fuori di esso, e in particolare non è stato necessario nessun primo motore. Questo significa forse che l'esistenza dell'universo può essere "spiegata" scientificamente senza bisogno di Dio? Possiamo considerare l'universo come un sistema chiuso, che contiene in sé la ragione della propria esistenza? La risposta dipende dal significato che si attribuisce alla parola "spiegazione". Date le leggi della fisica, l'universo è, per così dire, in grado di badare a se stesso, anche alla propria creazione. Ma da dove vengono queste leggi? Non richiedono, a loro volta, una spiegazione? Mi occuperò di questo argomento nel prossimo capitolo.

Questi recenti sviluppi scientifici sono in accordo con la dottrina cristiana della creazione ex nihilo? Come ho sottolineato più volte, la creazione dell'universo da parte di Dio non può essere considerata come un atto temporale, poiché essa comporta la creazione del tempo. Nella moderna visione cristiana, creazione ex nihilo significa mantenere l'universo sempre in esistenza. Nella moderna cosmologia scientifica non si dovrebbe più pensare àllo spazio-tempo come a qualcosa che "nasce". Si dice piuttosto che lo spazio-tempo (o l'universo) semplicemente esiste. "Questo schema non comprende un evento iniziale con uno status speciale", osserva il filosofo Wim Drees. Tutti i momenti hanno, quindi, una relazione simile con il Creatore. "O 'ci sono sempre stati', come un fatto puro e semplice, oppure sono tutti ugualmente creati. È una caratteristica interessante di questa cosmologia quantistica che quella parte dell'idea di una creazione ex nihilo che era giudicata più sganciata dalla scienza, cioè il 'mantenimento' della creazione, può essere considerata la parte più naturale nel contesto della teoria".  L'immagine di Dio evocata da questa teoria, tuttavia, è piuttosto lontana dal Dio cristiano del Ventesimo secolo. Drees nota una forte somiglianza con l'immagine panteistica di Dio adottata dal filosofo settecentesco Spinoza, secondo la quale l'universo fisico riflette aspetti dell'esistenza di Dio, quali l'essere "eterno" e "necessario".

Naturalmente, possiamo ancora chiederci: perché esiste l'universo? L'esistenza (atemporale) dello spazio-tempo dovrebbe essere considerata una forma (atemporale) di "creazione"? In questo senso la creazione "dal nulla" non si riferirebbe ad alcuna transizione temporale dal niente a qualche cosa, ma servirebbe soltanto a ricordarci che avrebbe potuto non esserci nulla piuttosto che qualche cosa. Molti scienziati (anche se, forse, non tutti) concorderebbero che l'esistenza dello schema matematico di un universo non è la stessa cosa dell'esistenza reale di quell'universo. Lo schema deve ancora essere messo in pratica. Rimane dunque ciò che Drees definisce "la contingenza ontologica". La teoria di Hartle-Hawking si accorda piuttosto bene con questo senso più astratto di "creazione", perché è una teoria quantistica. L'essenza della fisica quantistica, come ho fatto notare, è l'indeterminazione: la predizione in una teoria quantistica è la predizione di probabilità più che di certezze. Il formalismo matematico di Hartle-Hawking fornisce le probabilità che un universo particolare, con una organizzazione particolare della materia, esista in ciascun momento. Nel predire che c'è una probabilità diversa da zero per un particolare universo, si afferma che c e una possibilità ben definita che esso sarà realizzato. Alla creazione ex nihilo viene perciò data l'interpretazione concreta di "realizzazione di possibilità".

Tratto da: Davies P. La mente di Dio - Il senso della nostra vita nell'universo, Mondadori 1993 [pp.65-76]

 

 
 Webmaster: Roberto Onuspi  Redazione: Scienza & Divulgazione