Jacques Reisse
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La
transizione progressiva dal non vivente al vivente «
Il
termine "origine" è associato a un principio, un esordio, una
nascita. "Origine della vita", "origine dell'uomo",
sono altrettante espressioni che rinviano a momenti unici cui sarebbero
associati eventi di grande rilievo. Nelle righe seguenti tenterò di
dimostrare come, dopo la sua nascita, l'Universo sia stato protagonista di
un processo di auto-organizzazione. L'apparizione della Vita sulla Terra
costituisce una tappa di questo processo.
Questo evento presenta alcune peculiarità che ne fanno un soggetto di
riflessione identificabile e di fatto identificato da millenni. Sarebbe
tuttavia un errore limitarsi a considerare la particolarità del fenomeno
e attenersi a un punto di vista esclusivamente riduzionista. L'approccio
olistico deve essere utilizzato anch'esso laddove si ricerchino possibili
risposte alla domanda concernente l'origine della vita e alle sub-domande
a essa connesse: "quando?", "come?", "perchè?".
Come si vedrà la risposta al "quando?" sarà la più agevole,
solo che ci si curi di precisare il senso della domanda stessa.
Sempre imprecisa resterà senza dubbio invece la risposta al
"come?", benchè sia possibile formulare ipotesi e suggerire
scenari.
La domanda circa il "perchè?" è, in tutta evidenza, la più
delicata.
Se l'apparizione della Vita sulla Terra è il portato di un caso
straordinario, la domanda "perchè?" è priva di fondamento o,
più precisamente, ammette una risposta semplice. Parafrasando Monod si
potrebbe così argomentare: "Un avvenimento d'infima probabilità ha
una possibilità non nulla di verificarsi una volta". Oppure "Al
gioco della roulette cosmica, la Vita ha vinto." Qualora invece la
comparsa della Vita venga considerata come una tappa del processo di
auto-organizzazione prima citato, questo evento può rispondere forse a
una necessità. In questo caso il "perchè?", strettamente
correlato al "come", dev'essere considerato in un'altra
prospettiva.
L'ORIGINE DELLA VITA
Questa, circa l'origine della Vita, è una delle grandi domande che hanno
assillato l'uomo da quando ha preso coscienza. Lungo i millenni le
risposte possibili a un simile interrogativo non poterono che essere
mitiche e religiose. Occorre attendere la civiltà greca perchè si veda
comparire una risposta di tipo scientifico, basata sull'osservazione.
Aristotele ravvisava infatti un processo di generazione spontanea grazie
al quale, a suo dire, le rane nascono dal fango. Al giorno d'oggi
un'affermazione del genere suscita il sorriso e si sarebbe tentati di
scorgervi una mancanza di discernimento. E' bene vedervi piuttosto una
prova della grande difficoltà, che tuttora esiste, a praticare il metodo
sperimentale. Prelevare un campione di fango privo d'uova di rana
fecondate e assicurarsi che, per un congruo periodo, nessuna rana venga a
deporre uova sul campione in argomento, tutto ciò appartiene a una
pratica sperimentale fuori portata per Aristotele, che pure resta uno dei
grandi scienziati della storia umana. Ancora nel XVII secolo, la
generazione spontanea di rane e scorpioni restava una certezza per van
Helmont. Passano i secoli e la generazione spontanea finisce per
concernere soltanto i "microbi". Bisognerà arrivare al XX
secolo prima che Pasteur dimostri che la pretesa generazione spontanea dei
microrganismi dipende da errori nel processo di sperimentazione.
Si legge frequentemente che la teoria della generazione spontanea sarebbe
stata definitivamente sconfitta dagli esperimenti di Pasteur. Niente di più
falso: la teoria secondo cui dei microrganismi nascerebbero spontaneamente
sotto i nostri occhi dall'aria o da effluvi è stata sì effettivamente
abbandonata in seguito agli esperimenti di Pasteur, ma tali esperimenti
non dimostrano affatto che sia impossibile la transizione spontanea del
non vivente al vivente o che lo sia sempre stata. Notiamo d'altronde che
il rigetto di un'ipotesi simile conduce ineluttabilmente a non poter porre
la questione dell'origine della Vita sulla Terra in termini scientifici.
Se si respinge infatti la generazione spontanea, non restano che due
spiegazioni possibili della presenza della vita sul pianeta. La prima è
d'ordine religioso o mitico: la Vita risulterebbe da un atto di creazione
volontario da parte di un Essere trascendente. La seconda è
qualitativamente diversa in quanto porta a respingere la domanda stessa:
la Vita è presente sulla Terra perchè essa, al pari della materia,
esiste da sempre nell'Universo.
Secondo questa concezione, la Vita sulla Terra è conseguenza di un
processo d'inseminazione, all'inizio, da parte di germi provenienti da
altrove. Questa teoria, sostenuta alla fine del XIX secolo da Arrhenius e
Kelvin, porta il nome di panspermia. Oggi essa è indifendibile in quanto
tutto porta a credere che il nostro Universo abbia, nella sua antica
vicenda, conosciuto fasi di sviluppo caratterizzate da condizioni fisiche
incompatibili con l'esistenza di ogni forma di vita.
Alcuni ricercatori contemporanei, quali Hoyle, Crick, Orgel, sono per una
versione aggiornata della panspermia: ritengono infatti che vi sia stata
un'inseminazione iniziale della Terra, pur non respingendo affatto l'idea
di un'origine della Vita stessa. Tuttavia, per questi autori, tale origine
non si situerebbe sulla Terra, bensì altrove nell'Universo. La teoria
della panspermia nella sua versione moderna può essere non confutabile
senza che ciò provi sia fondata. D'altro canto, l'improbabile esistenza
di una panspermia iniziale non modifica granchè i termini del problema.
La Vita è apparsa sulla Terra o altrove secondo modalità che se non sono
da ascriversi a una creazione divina, non possono che essere il prodotto
di una generazione spontanea. Mettiamoci quindi a parlare di generazione
spontanea ma diamo a quest'espressione un senso diverso da quello che ha
presso Aristotele o van Helmont. Noi individuiamo un passaggio progressivo
dal non vivente al vivente e trattiamo questo argomento insistendo sugli
aspetti concettuali associati allo studio di un problema siffatto.
E' opportuno ora richiamare certe osservazioni, certe teorie e anche certi
modelli che concernono aspetti geologici, chimici e fisici del problema
dell'origine della Vita. Lo farò col linguaggio meno tecnico possibile
ricorrendo, in questo breve sunto, a una forma espositiva necessariamente
dogmatica e perciò antiscientifica, sollecitando l'indulgenza del
lettore.
La Terra nasce dunque un 4,6 miliardi di anni fa, contemporaneamente agli
altri componenti del sistema solare. Questa nascita occupa qualche decina
di milioni di anni e viene descritta come un fenomeno d'accrezione, cioè
come un processo di condensazione e autostrutturazione della nuvola di gas
e polveri di partenza. Questa nube, o protonebulosa solare, era
probabilmente un frammento di una nube interstellare simile a quelle che
si possono osservare ancor oggi nella nostra galassia e dentro alle quali
si originano le stelle (nonchè, probabilmente, i pianeti).
All'inizio la giovane Terra è calda, priva d'atmosfera e di oceani. Calda
a tal punto che le rocce che la compongono sono mobili, il che consente al
pianeta di modellarsi assumendo la forma quasi sferica che gli conosciamo
e subendo fenomeni di differenziazione: gli elementi densi (essenzialmente
ferro e nichel) vanno a collocarsi al centro mentre s'accumulano alla
periferia i minerali meno densi. Poco a poco fa dunque la sua comparsa la
struttura a sfere concentriche (nucleo, mantello, crosta), struttura
dinamica ancor oggi: l'esistenza delle placche con le sue conseguenze
(vulcanismo e terremoti) sono lì a ricordarlo.
Nel tempo remoto durante il quale la Terra si struttura, l'ampiezza dei
fenomeni di dinamismo è assai superiore a quella odierna. In particolare,
violento è il vulcanismo: gas vulcanici si liberano infatti dal mantello
circondando la Terra di uno strato gassoso. Nel corso di questo periodo,
diciamo i primi 500 milioni di anni, il fenomeno dell'accrezione procede,
benchè a velocità ridotta. La terra, come tutti gli altri corpi di un
certo volume (Sole, pianeti, grandi satelliti), attira i corpi di più
modeste dimensioni che ruotano in orbite instabili attorno al Sole. Ne
deriva un intensissimo bombardamento della giovane Terra, disseminata di
cicatrici dovute all'impatto con asteroidi, meteoriti, comete, segni
successivamente cancellati dall'erosione e dalla tettonica delle placche.
Basta però riandare alla superficie della Luna o a quella di Mercurio per
rendersi conto di cosa sia stato questo bombardamento iniziale.
Asteroidi, meteoriti, comete, si schiantano dunque sulla superficie
terrestre, disgregandosi e liberando polveri e gas. Questi vanno ad
aggiungersi a quelli che già circondano la Terra che si sta dal canto suo
raffreddando. Le condizioni di temperatura e pressione alla superficie
diventano in seguito compatibili con la presenza di acqua allo stato
liquido. L'acqua sin qui presente allo stato di vapore nell'involucro
gassoso, condensa dando origine agli oceani e ai laghi primigenei. Le
masse liquide contengono, in sospensione o soluzione, alcuni dei minerali
costituenti la crosta terrestre, ma anche molecole di generi assai vari
presenti inizialmente nell'involucro gassoso. Tali molecole sono
essenzialmente di natura organica: contengono cioè atomi di carbonio
associati ad altri atomi, prevalentemente d'idrogeno, ossigeno, azoto e
zolfo. Queste altre molecole, organiche anch'esse, provengono a loro volta
da reazioni prodottesi nell'atmosfera gassosa, reazioni rese possibili
dall'irraggiamento ultravioletto del Sole, favorite dal vento solare
(essenzialmente protoni fortemente accelerati) e da scariche elettriche o
irraggiamento associato a disintegrazione radioattiva. Tutte queste
molecole organiche sono ritenute endogene perchè risultano da reazioni
avvenute entro l'atmosfera terrestre. Gli oceani primitivi contengono
tuttavia anche molecole organiche esogene, presenti cioè inizialmente in
asteroidi, comete e meteoriti. Oceani e laghi di questo periodo divengono
dunque luoghi privilegiati dentro cui reagiscono ed interagiscono molecole
diversissime, endogene ed esogene. Dall'inizio dell'accrezione sono
trascorsi frattanto da quattro a cinquecento milioni di anni. Gli oceani
primitivi si sono dunque formati, un vulcanismo intenso scuote la Terra,
mentre la caduta di oggetti extraterrestri rallenta, consentendo la
comparsa di fenomeni di erosione legati al ciclo
evaporizzazione-condensazione dell'acqua e dei connessi fenomeni di
sedimentazione.
Per noi è importante poter studiare le rocce sedimentarie più antiche,
documenti dello stato della Terra in quelle ere primordiali. Per poterlo
fare bisogna recarsi in Groenlandia, in un luogo che si chiama Isua: qui
troviamo sedimenti vecchi di 3,8 miliardi di anni. Questi hanno subito un
profondissimo metamorfismo: i movimenti della crosta terrestre li hanno
fatti sprofondare sottoponendoli a fortissime pressioni e ad elevate
temperature. Sommovimenti successivi della crosta, come anche l'erosione
li hanno fatti riapparire benchè profondamente modificati, metamorfizzati.
Che cosa ci insegna lo studio di questi sedimenti dal punto di vista
dell'origine della vita? Un "forse", un'incerta indicazione che
la materia organica presente in questi sedimenti potrebbe essere di
origine biologica o, più correttamente, biotica. La Vita esisteva forse
sulla Terra quando i sedimenti di Isua si sono formati 3,8 miliardi di
anni or sono, cioè da 400 a 500 milioni di anni appena dopo la formazione
dei primi oceani.
Queste malcerte informazioni derivano dalla misurazione del rapporto
isotopico tra carbonio-12 e carbonio-13 nella materia organica
sedimentaria, rapporto di difficile interpretazione a causa soprattutto
dell'intenso metamorfismo subito dai sedimenti di Isua. Tuttavia, altri
terreni sedimentari che hanno un'età superiore ai tre miliardi di anni e
scoperti nell'Africa australe, ci forniscono informazioni più dirette, più
facili a decifrarsi.
Quando questi sedimenti si sono accumulati, la Vita era già presente sul
nostro pianeta: lo testimoniano i fossili e microorganismi di varie
specie. Così, e in modo certo, il passaggio dal non vivente al vivente,
sempre che ci si accordi sul presupposto che non sia iniziato prima che la
Terra si formasse, ha luogo al massimo in un miliardo di anni. C'è, nel
presupposto evocato, un aspetto arbitrario perchè gli atomi che
costituiscono le molecole organiche che concorrono a formare i viventi
contemporanei provengono da nucleosintesi interna a stelle di prima
generazione, stelle vissute e morte assai prima dell'accrezione del
sistema solare.
Se si va poi alla ricerca dell'inizio assoluto, si potrebbe soggiacere
alla tentazione di farlo coincidere con il big bang, benchè si debba
tener conto del fatto che anche l'assoluta singolarità di questo evento
è stata rimessa in causa.
Secondo un'arbitraria scelta dell'autore, interrogarsi sull'origine della
Vita consiste nel porsi domande attinenti a quelle centinaia di milioni di
anni che intercorrono dalla formazione dei primi oceani alla comparsa in
questi dei primi unicellulari. Fra tutte le domande, due sono
particolarmente rilevanti: "perchè?", "come?".
Possiamo a questo punto reputare che le pagine precedenti abbiano fornito
qualche elemento di risposta alla domanda circa il "quando?". In
modo sempre rapidissimo e non tecnico potremmo potremmo richiamare alcuni
elementi di risposta al "come?" previa avvertenza al lettore che
pur sempre di congetture si tratta. In realtà non possediamo fossile
alcuno, nè testimonianza, circa i processi di autostrutturazione che
hanno portato dal non vivente al vivente.
Quando contava qualche centinaio di milioni di anni, la Terra era più
calda di oggi, il vulcanismo più intenso, più frequenti i bombardamenti
di meteoriti e comete. Gli oceani contenevano allora numerose cellule
disciolte ed erano teatro di multiple e varie reazioni chimiche,
l'atmosfera conteneva soprattutto azoto (N2), diossido di carbonio (CO2),
vapor acqueo e altri gas in quantità minori. Si noti l'assenza
dell'ossigeno, il che comporta la presenza ridotta di elementi chimici
nelle rocce primitive e vulcaniche di superficie e nei sedimenti
provenienti dall'erosione di queste rocce.
L'attività chimica possibile negli oceani, nell'atmosfera e nelle
sorgenti idrotermali primitivi può essere simulata in esperimenti di
laboratorio. Le leggi della chimica-fisica agivano infatti, quattro
miliardi d'anni or sono, né più né meno di oggi e si può di
conseguenza verosimilmente supporre che gli oceani contenessero allora la
maggior parte delle molecole costituenti l'essere vivente o quanto meno i
"mattoni" di base a partire dai quali queste molecole
costitutive hanno la possibilità di formarsi. Per essere più precisi
circa la natura di questi "mattoni", parliamo di amminoacidi,
zuccheri, basi puriniche e pirimidiniche, di acidi grassi e svariate altre
sostanze organiche endogene ed esogene. La varietà di molecole organiche
censite nel meteorite di Murchinson è prova dell'efficacia delle sintesi
abiotiche. Le tappe successive della strutturazione: assemblaggio dei
"mattoni" in macromolecole, raggruppamento di quest'ultime in
vescicole (per esempio le microsfere di Fox con le loro pareti
proteiniche), tutto ciò è stato riprodotto in laboratorio. Tali
simulazioni conferiscono a queste scansioni temporali un soddisfacente
grado di plausibilità. Si arriva così a immaginare senza eccessive
difficoltà, oceani e laghi primitivi contenenti microgocce e vescicole
organiche in sospensione. Si possono altresì immaginare materiali
lamellari come le argille o materiali microporosi come le zeoliti
contenenti materia organica assorbita attraverso le fessure o i pori.
Per quanto differenti tra di loro, tutti questi sistemi presentano una
delle caratteristiche degli esseri viventi: hanno dei confini. Esiste
infatti una frontiera che consente di definire un ambiente esterno e uno
interno. Questa frontiera (una membrana, un diaframma di pori, uno strato
di argilla) consente scambi di materia ed energia tra interno ed esterno:
sono sistemi aperti nel senso vigente in termodinamica. All'interno di
tali sistemi si possono produrre numerose reazioni chimiche,
necessariamente diverse da sistema a sistema, visto che ognuno è diverso
dal vicino. Il divenire di questo sistemi è dunque differente da caso a
caso.
Di autodeterminazione in autodeterminazione, alcuni di questi sistemi
acquisiscono le caratteristiche degli unicellulari: si compie così il
passaggio dal non vivente al vivente.
Quast'ultimo enunciato è volutamente aggressivo nella sua brevità. Mira
con ciò a rendere evidente l'enorme salto di complessità che separa il
più complesso dei sistemi non viventi - allestiti in laboratorio - dal più
elementare degli unicellulari che vivano negli oceani arcaici. Le reazioni
che si sviluppano in una microsfera di Fox o in una microcavità di
argilla o di zeolite sono essenzialmente aleatorie; tutt'al più alcune di
loro sono catalizzate, vale a dire favorite da altre molecole già
presenti. Al contrario, le reazioni che s'instaurano in un organismo
unicellulare aleatorie non sono; sono al contrario caratterizzate da
un'elevatissima organizzazione spaziotemporale.
La transizione non vivente/vivente implica di sicuro un'efficacia sempre
crescente dei processi catalitici. Negli esseri viventi odierni la
catalisi è assicurata essenzialmente dagli enzimi. Questi, poi, sono
presenti perchè l'informazione necessaria alla loro sintesi è, a sua
volta, presente in forma di acido desossiribonucleico (DNA). Ogni
riflessione attinente al passaggio dal non vivente al vivente non può
eludere il dilemma dell'uovo e della gallina a livello molecolare! In
altri termini: gli enzimi hanno preceduto il DNA oppure è questo ad
essere venuto prima? La cosa è particolarmente delicata perchè negli
attuali esseri viventi la sintesi del DNA richiede la presenza di enzimi.
Esiste oggi un'altra molecola, l'acido ribonucleico messaggero che assolve
al ruolo di staffetta trasportando l'informazione dal DNA verso i ribozomi,
strutture infracellulari entro cui si compie la sintesi degli enzimi. In
alcuni casi, frammenti di RNA appaiono provvisti di proprietà
catalitiche. Sulla scorta di queste osservazioni, alcuni autori immaginano
un vivente ancestrale nel quale l'RNA abbia giocato al contempo il ruolo
di enzima e di codice genetico. Per suggestiva che sia, questa soluzione
non è da tutti accettata.
Se anche si assumesse questo vivente a RNA ambivalente e se pure ci si
facesse carico del tempo geologico che per la sua durata consente
l'esplorazione di numerose possibilità, il salto così implicato nel
dominio della complessità rimarrebbe grande. Troppo reputano alcuni
scienziati. Che si tratti della nascita del codice genetico oppure
dell'energetica molecolare, della comparsa delle membrane lipidiche o
dell'acquisizione di un sistema di tipo fotosintetico, tutte queste tappe
continuano a costituire problemi di estrema difficoltà. E' possibile,
anzi, senz'alcun dubbio necessario, non porsi alla ricerca di processi che
avrebbero condotto simultaneamente all'apparizione di tutte queste
potenzialità, essendo una perfetta simultaneità qualcosa di troppo
improbabile. Se tuttavia soltanto alcune delle potenzialità suaccennate
fossero state presenti in un luogo o in un momento dati dentro un
previvente particolare, si dovrebbe ammettere di necessità che questo
ipotetico previvente avrebbe potuto trasmettere queste proprietà alla
discendenza.
Si arriva in tal modo a considerare come indispensabile tappa precoce,
anche se elementare, la costituzione di un codice genetico. Quale potrebbe
essere tuttavia l'utilità di un codice siffatto se non fosse stata
dominata l'energia, se questa non fosse stata immagazzinata per esser
prelevata in caso di necessità? Quale l'utilità di un codice del genere
senza catalizzatori di tipo enzimatico? Si torna così rapidamente alla
quasi-necessità di una certa simultaneità del presentarsi di parecchie
proprietà fondamentali del vivente.
Se si accetta di porre il problema della simultaneità, bisogna
rassegnarsi a rinunziare, per lo meno in parte, all'approccio riduzionista.
Quest'ultima affermazione è più radicale di quanto si possa credere: i
progressi essenziali alla scienza del ventesimo secolo sono difatti legati
a un modo di procedere riduzionista, alla sempre maggiore padronanza di
esso. Stando così le cose, bisogna anche osservare che, da qualche anno a
questa parte, l'impostazione olista ha acquisito i suoi quarti di nobiltà.
Alla luce di questi elementi, acquista oggi certezza la convinzione che il
problema della vita non possa essere affrontato secondo una prospettiva
unicamente riduzionista.
Il passaggio dal non vivente al vivente comporta in tutta evidenza
un'evoluzione che ha luogo dentro il tempo. E poichè ogni interrogativo
sull'origine della vita viene così a collocarsi in prospettiva
evoluzionista, è ragionevole rifarsi a Darwin che, assai prima di Oparin
o Haldane, ha individuato in modo esplicito l'evoluzione prebiologica.
Questa può essere vista come evoluzione fisico-chimica e differisce
pertanto, per quanto attiene ai suoi meccanismi, dall'evoluzione
biologica. Quest'ultima prende avvio quando un "quasi-vivente"
acquisisce un codice iniziale suscettibile di modificarsi per mutazione o
per qualsiasi altro meccanismo. L'evoluzione biologica comincia quando la
selezione naturale è in grado di far sentire i propri effetti favorendo i
"pre-viventi" meglio adatti. Qualora si accetti che la
transizione dal non vivente al vivente sia processo di autorganizzazione,
occorrerà accettare anche una soluzione di continuità tra una evoluzione
fisico-chimica che agisca soltanto a livello dell'"assolutamente non
vivente" e un'evoluzione biologica attiva soltanto al livello
dell'"assolutamente vivente". Non ci sono insormontabili
difficoltà concettuali a individuare questa transizione sulla scorta
delle attuali conoscenze di biologia molecolare e dei meccanismi
molecolari di evoluzione biologica.
L'evoluzione fisico-chimica e quella biologica sono a loro volta aspetti
dell'evoluzione della materia sulla Terra. Tenuto conto del fatto che la
nascita del sistema solare così come quella stessa della Terra si pongono
come tappe di un'evoluzione ancor più generale, occorre inserire la
comparsa della Vita dentro il processo di evoluzione dell'Universo. Se si
prendono in esame i modelli teorici che descrivono l'evoluzione
dell'Universo dopo il big bang, si rimane colpiti nel constatare come, col
trascorrere del tempo, essi divengano sempre più complessi. In realtà,
astrofisici e cosmologi ci descrivono lo stato iniziale dell'Universo come
qualcosa di totalmente indifferenziato. Da questo grande disordine
iniziale nascono energia e materia, ma questa materia è assai poco
differenziata. Essa si autorganizza progressivamente fino a che si formano
grandi quantità di nuclei e quindi di atomi di idrogeno e anche qualche
altro elemento leggero. Questi atomi si associano in ammassi giganteschi
al cui interno regnano temperature e pressioni elevatissime. La fusione
nucleare s'innesca nelle prime stelle che si organizzano in galassie le
quali si organizzano in ammassi i quali, a loro volta, si autorganizzano
in superammassi. La fusione nucleare genera nuclei ben più complessi di
quelli dell'idrogeno e quando le stelle di prima generazione muoiono,
spesso in occasione di esplosioni catastrofiche, gran parte della materia
che le costituisce va a disperdersi nello spazio interstellare. Queste
nubi interstellari divengono a loro volta più complesse: si formano
granuli di polvere, molecole e, particolarmente, molecole organiche.
Talvolta, e rapidamente, una di queste nubi, divenuta instabile si
frantuma. I frantumi, sempre instabili, si schiantano su di sé per
interazione gravitazionale. Sopravviene allora l'accrezione dei sistemi
stellari. Nascono in tal modo le stelle dette di seconda generazione e,
verosimilmente, pianeti, satelliti e asteroidi. Così 4,6 miliardi di anni
or sono, è nato il nostro sistema solare e nulla autorizza a pensare che
esso sia unico. Esiste, al contrario, più di una ragione per reputare che
il sistema solare sia un sistema stellare banale, dentro una galassia
qualunque, la quale fa parte a sua volta di un ammasso comunissimo. Se
dunque s'inserisce la transizione non vivente/vivente, così come la
conseguente evoluzione biologica, dentro il quadro della più grande
evoluzione cosmica non si può non restare colpiti dall'aumento di
complessità e dalla crescente strutturazione dell'Universo. Si è soliti
porsi la domanda: "Perchè questa crescente complessità?".
Prima ancora di tentare una risposta è necessario passare brevemente in
rassegna le teorie fisiche che consentono la descrizione di fenomeni
variabili nel tempo.
Le leggi di Newton sono spesso ritenute come l'archetipo di queste teorie,
ma è ben noto che il tempo, così come in esse appare, è un parametro:
se cambiamo t con -t non si avrà differenza alcuna. L'applicazione delle
leggi di Newton alla descrizione dei movimenti della cometa di Halley
permette con facilità di ricostruire al contempo la storia dei passaggi
anteriori quanto di avanzare previsioni circa i futuri. Le leggi di Newton
ignorano la differenza tra passato e futuro.
Contrariamente ad esse, il secondo principio della termodinamica
introduce, lui sì, una disimmetria dentro il tempo: se si pone un corpo
caldo a contatto con uno freddo, il calore transita dal primo al secondo
con un processo irreversibile. Il secondo principio della termodinamica
instaura una differenziazione tra un prima e un dopo: dice che all'interno
di un sistema isolato ogni processo spontaneo si accompagna a una crescita
di entropia, ma questo stesso principio non ci aiuta affatto a capire come
un sistema aperto, un sistema cioè che scambi materia ed energia col
mondo circostante, possa autorganizzarsi e dunque incrementare la propria
entropia. Il secondo principio della termodinamica non ci soccorre a
comprendere il sorgere della vita.
Se cerchiamo di caratterizzare un organismo vivente dal punto di vista
della termodinamica, siamo portati a insistere sul suo aspetto aperto da
un canto, ma anche, dall'altro, sull'estrema complessità di questo stesso
organismo. Tale complessità, a sua volta, esiste e si regge sugli scambi
di materia ed energia col mondo circostante.
Un sistema aperto lontano dall'equilibrio può persistere a lungo in stato
stazionario come può anche mutare in seguito ad una leggera
perturbazione. L'accrezione del sistema solare, la transizione dal non
vivente al vivente, alcune tappe della macroevoluzione biologica derivano
forse da tali processi.
La disciplina che consente di descrivere e comprendere l'evoluzione dei
sistemi aperti lontani dall'equilibrio si chiama termodinamica dei
fenomeni irreversibili. Lo sviluppo di questa disciplina deve moltissimo
alla Scuola di termodinamica di Bruxelles diretta da Ilya Prigogine.
Questa termodinamica ci consente, tra l'altro, di capire perchè, lontano
dall'equilibrio, compaiono fenomeni di coerenza nei movimenti delle
molecole costitutive del sistema. Le molecole acquisiscono comportamenti
gregari! La coerenza può così tradursi anche nella comparsa di
simultaneità a livello di reazioni tra molecole costitutive del sistema
(orologi chimici). Un sistema aperto lontano dall'equilibrio si può
capire soltanto a patto di osservarlo come un tutto. E il tutto è ben più
che la somma delle parti.
Un sistema aperto lontano dall'equilibrio presenta comportamenti non
lineari. Ciò significa che se noi modifichiamo appena di un poco il
flusso di energia o di materia tra il sistema stesso e il resto
dell'Universo, il sistema, sino allora in stazionarietà, può passare
all'improvviso a un altro stato, stazionario anch'esso ma diverso dal
precedente. Ancor più: nulla consente di prevedere quale possa essere
questo nuovo stato. C'è discontinuità nell'evoluzione. In altri termini,
il passaggio si verifica in tempi estremamente brevi in relazione alla
durata di vita dello stato stazionario iniziale e tuttavia il nuovo stato
differisce radicalmente dal precedente. Questi stati lontani
dall'equilibrio sono per lo più assai strutturati e molto complessi in
ragione della stessa coerenza di cui si è parlato poc'anzi. La coerenza
implica: interazione fra le parti, interdipendenza, sinergia. Tutti questi
fattori concorrono a determinare la complessità.
La termodinamica dei sistemi aperti lontani dall'equilibrio costituisce lo
strumento privilegiato, il più efficace, per trattare in modo unificato i
fenomeni di autorganizzazione che marchiano la storia dell'Universo.
Questa termodinamica permette di spiegare non soltanto l'evoluzione ma
anche la repentinità di determinati stati evolutivi. Non bisogna tuttavia
concludere che i salti evolutivi rapidi, accrezione del sistema solare,
transizione dal non vivente e macroevoluzione biologica, siano identici
nei minimi dettagli. "Repentino" a scala cosmica e
"repentino" a scala biologica significano durate temporali ben
distinte. Le energie in gioco nell'evoluzione cosmica e nel passaggio dal
non vivente al vivente sono di ben diverso ordine. Soltanto un punto di
vista riduzionista consente di rilevare questa diversità. Bisognerà di
conseguenza guardarsi sia da atteggiamenti troppo globalizzanti che
eccessivamente sintetici. Dal lato opposto, non bisogna affrontare il
problema dell'origine della Vita secondo prospettive unicamente
riduzioniste onde non finir col cercare all'infinito la tappa
supplementare, nel desiderio vano di ritrovare una continuità là dove la
discontinuità costituisce senza alcun dubbio la regola, non l'eccezione.
Occorre altresì provvedersi della lucidità necessaria a riconoscere che
l'evoluzione dell'Universo verso una sempre crescente organizzazione non
può ancora trovare spiegazione del tutto soddisfacente. Stando così le
cose, si può affermare che la termodinamica dei sistemi aperti lontani
dall'equilibrio è in grado di fornire un apparato concettuale con il cui
ausilio si può affrontare il problema. I sistemi aperti lontani
dall'equilibrio si strutturano spontaneamente e la termodinamica è in
grado di dirci il perchè; essi generano altri sistemi più strutturati e,
quest'ultimi, altri più strutturati ancora. E la termodinamica è li a
dirci che niente lo impedisce. Essa afferma che quest'evoluzione è
possibile, non che sia ineluttabile e pertanto non offre risposte univoche
ai nostri "perché". Bisognerà forse congetturare che
l'Universo, nel corso del cambiamento, esplori numerosi
"possibili" e che ciò che è soltanto possibile si faccia
ineluttabile dopo lungo tempo. Potrebbe darsi anche che occorresse
considerare, come fa Davies, che le leggi generali della fisica debbono
essere ancora formulate o precisate. Queste leggi potrebbero fare
dell'autostrutturazione la legge fondamentale dell'Universo. Nel suo
ultimo libro dal provocatorio titolo Il cosmo intelligente, Davies
scrive: "L'esistenza di un potente principio di organizzazione - le
leggi fisiche supplementari che rinviano alle proprietà collettive e
cooperative dei sistemi complessi e che non sapremmo desumere da leggi
fisiche soggiacenti già formulate - resta un'idea stimolante ma di ordine
speculativo. Misteri quali l'origine della Vita e la natura progressiva
dell'evoluzione incoraggiano la sensazione che siano all'opera principi
supplementari che in qualche modo "aiutino" i sistemi a scoprire
stati organizzativi complessi."
La termodinamica del non equilibrio, la teoria del caos, quella delle
biforcazioni, la teoria delle catastrofi e quella delle varietà frattali,
costituiscono altrettante discipline scientifiche dalle molteplici
connessioni che hanno goduto di sviluppi importanti e saputo modificare la
nostra percezione dell'Universo. Da queste e altre discipline consorelle
sorgeranno certo nuove leggi e concetti. Ciò consentirà di precisare
maggiormente la nozione stessa di evoluzione e, conseguentemente, di
meglio situare l'origine della Vita, quest'affascinante tappa
dell'evoluzione cosmica.
Quando queste leggi fossero enunciate, l'apparizione della Vita
diventerebbe forse una "quasi-necessità". E' assai improbabile
infatti che l'apparizione della Vita divenga mai "necessità
assoluta" nella misura in cui si prende coscienza crescente dei
limiti del determinismo. E ciò valga anche per fenomeni retti da leggi
classiche.
In questo fine secolo gli sviluppi della scienza avrebbero senza dubbio
potuto attenuare il pessimismo profondo di Monod ma non sarebbero certo
stati in grado di rasserenare del tutto l'autore de Il caso e la
necessità.
Tratto da: AA.VV.Dalle stelle al pensiero, Linea d'ombra 1993
Articolo di: Reisse Jacques, La transizione progressiva dal non vivente
al vivente [pp.83-100]
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