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Hubert Reeves 

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I primi tempi dell'Universo «

 

L'astrofisica contemporanea affronta questioni attinenti all'ambito che nella filosofia tradizionale va sotto il nome di metafisica. La tentazione è dunque di prendere decisioni affrettate. Ci si può lasciar sedurre dall'idea che la scienza sia in grado oggi di offrire soluzioni ad antiche e venerabili interrogazioni metafisiche. Si può altresì immaginare che, secondo il bimillenario voto di Epicuro, essa sia oggi in grado di alleviare le nostre "angosce metafisiche".

Diviene dunque di grande importanza analizzare queste questioni con occhio critico e procedere su di un terreno così insidioso usando la massima prudenza. Cerchiamo di non dimenticare come vi si siano irrimediabilmente impantanati numerosi ricercatori abbagliati dall'entusiasmo e dal desiderio di avventurarsi in contrade inesplorate.

L'interrogazione metafisica fondamentale verte sull'essere ed è mirabilmente posta nel famoso interrogativo di Leibniz: "Perchè esiste qualcosa invece che nulla?". Questa domanda sembra a me un "grido del cuore", espressione dell'intensa emozione che sgorga dalla presa di coscienza del nostro esistere. La vedo assai meno come domanda vera e propria cui si possa sperare di fornire un giorno brandelli di risposta che non siano tautologici tanto sul versante filosofico che su quello scientifico.

Ciononostante, alcuni scrittori di cose scientifiche hanno lasciato credere che fisica e astrofisica contemporanee sarebbero in grado di produrre al riguardo nuove proposizioni, ossia soddisfacenti spiegazioni.

Ma si può subito avanzare una difficoltà fondamentale cui è arduo sfuggire. Ed è che il procedere scientifico abituale consiste nel cercare di spiegare il "qualche cosa" in termini di "altra cosa". Questa "altra cosa", identificata che sia, va fatalmente in cerca di una spiegazione in termini di "altra cosa ancora". E così via.

Le conoscenze scientifiche ci si presentano infatti sovente nella forma di una catena di "perchè" interconnessi, 'inscatolati'. Prendiamo il classico esempio delle mele che cadono. Le mele cadono perchè la terra le attira dice Sir Isaac Newton. La Terra attira le mele perchè la sua massa altera la geometria dello spazio, replica Albert Einstein. Non si sa ancor bene davvero "perchè la massa modifica la geometria". Oggi si tenta di formulare una teoria unificata delle forze fisiche, teoria che conterrà una risposta alla nostra domanda in termini di un "perchè" che rimanderà fatalmente a un "qualcosa d'altro".

Il tutto per dire come sia impensabile spiegare qualcosa in termini di "nulla". Ed è per l'appunto qui che conduce ogni tentativo si spiegare la "creazione" nel senso proprio del termine. Si tratta niente di meno che di un tentativo di rendere conto del passaggio dal nulla a un qualcosa che esiste.

Il fatto di disporre parole qua e là può ingenerare la dannosa illusione che sappiamo di che cosa si parla. L'ultima frase del paragrafo precedente ben illustra codesta illusione. Essa sembra provvista di senso. Ma se si assume che il termine "nulla" è per definizione vuoto di senso, sarà doveroso concludere che "passaggio" non può in nessun caso essergli associato. Si tratta, qui, dell'estensione indebita della nozione "passare da una cosa all'altra" all'idea che una di queste due cose possa consistere nel "nulla"....

IL MITO ORIGINARIO

La teoria cosmologica chiamata big bang ha fatto nascere l'idea che l'astrofisica abbia oggi qualcosa da dire sull'origine o sull'inizio del cosmo. Si sarebbe infatti individuata la creazione del mondo, da situarsi all'ora "zero" dell'orologio cosmico che fissa l'età dell'Universo in 15 miliardi di anni. Papa Pio XII ha identificato senza esitazione questo avvenimento con il biblico Fiat Lux.

La tentazione di "mitologizzare" è sempre presente all'uomo ed è per lui naturale il cercar di sovrapporre immagini familiari a realtà che lo stupiscono. Si capisce dunque agevolmente come un'immaginazione fervida abbia potuto accompagnare una teoria fisica con un mito atemporale e perciò stesso seducente (ma si potrebbe dire seducente e perciò atemporale). Così, diventa dovere del fisico rivolgere alla questione uno sguardo improntato a quel rigore senza compiacimento che è proprio del ragionamento scientifico ben condotto, rigore che gli ha conferito efficacia. Che cosa resta dunque di questa mitologia e delle sue pretese metafisiche quando lo sguardo critico la indaga? Siamo autorizzati a mantenere nel nostro linguaggio espressioni quali "nascita dell'Universo" o "primi istanti dell'Universo"?.

ESPLORARE IL PASSATO

Bisogna considerare questa problematica come un'esplorazione del passato e, come sempre, è importante partire col piede giusto. Il che significa: dal giusto posto. Buon punto d'avvio è l'istante presente... Il nostro "tempo zero" segna l'oggi ed è per l'appunto da qui che prenderà avvio il nostro conto alla rovescia.

Gli esploratori del secolo scorso affrontavano le terre sconosciute partendo dalle coste e progressivamente inoltrandosi verso l'interno, nelle regioni ancor bianche sulla carta geografica, quelle designate con la dicitura di terrae incognitae, "terre sconosciute". Di anno in anno, grazie ai loro sforzi, arretravano la frontiera dell'inesplorato. Le lettere inviate alle famiglie, i rendiconti spediti alle Accademie patrocinatrici davano conto delle loro scoperte: laghi, deserti, catene montuose, incontri con popolazioni aborigene.

Se si fosse domandato loro: "Ma che cosa c'è oltre il territorio che avete esplorato fino ad oggi?", essi avrebbero risposto in tutta naturalezza: "Per ora non ne sappiamo nulla. Abbiate pazienza, aspettate che ci arriviamo." Allo stesso modo, lasciando la costa per inoltrarci verso l'interno, anche noi ci mettiamo in viaggio onde risalire il passato. E' importante delineare la frontiera che delimita la zona inesplorata, là dove cominciano le terrae incognitae della ricerca contemporanea.

Si potrebbe paragonare la nostra impresa a quella dello studioso di preistoria che voglia ricostruire il lontano passato dell'uomo. Gli occorrono imprescindibilmente dei "fossili", oggetti cioè tramite i quali possa descrivere uno stato di fatto oggi scomparso ma che abbia lasciato tracce. In assenza di ogni testimonianza, silici modellate, pitture rupersti, ceneri di fuochi estinti da tempi remoti, pietre confitte nel suolo ecc., il paleontologo si troverebbe, ad esempio, nella totale impossibilità di parlare dell'uomo di Cro-Magnon che abitava il Périgord di 18.000 anni or sono. Alla stessa stregua, senza "fossili cosmologici", l'astrofisico non potrebbe proporsi di risalire il corso del tempo verso l'universo primigenio. La credibilità delle sue affermazioni è strettamente connessa alla natura dei fossili che riesce a scovare come anche all'abilità nel correttamente interpretarli.

Il lavoro dell'astrofisico durante i trascorsi decenni è consistito nell'individuare un certo numero di fossili e nel tentare di ricavarne un messaggio. Nel contesto dell'astrofisica, un fossile è un dato di osservazione la cui grandezza fisica misurabile è stata determinata da eventi svaniti da lunghissimo tempo. Questi dati conservano, in qualche modo, il ricordo di quegli avvenimenti consentendoci di ricostruirli.

Abbiamo così una piccola collezione di fossili i quali, ciascuno a proprio modo, ci forniscono informazioni su di una data epoca del lontano passato dell'Universo. Sono queste le tappe del nostro viaggio di esplorazione.

IL TEMPO HA AVUTO UN INIZIO?

Il movimento di allontanamento delle galassie l'una dall'altra ci dice che la materia cosmica va diluendosi, il che sta a significare ovviamente che in passato essa era più densa.

Per interpretare quest'informazione noi ci rifacciamo alla conoscenza delle leggi fisiche che governano la materia. In tale contesto affrontiamo da subito un problema che diverrà presto cruciale. La nostra conoscenza, va detto, si fonda su esperimenti di laboratorio ed è conseguenza circoscritta ai limiti stessi dei procedimenti sperimentali. Oggi i nostri acceleratori più potenti raggiungono mille miliardi (10^12) di elettronvolt. La teoria si spinge oltre questo limite diventando però marcatamente speculativa e da affrontarsi di conseguenza con la massima cautela. Per di più, quando vengono raggiunte le condizioni dette "di Planck" (attorno ai 10^32 gradi), essa diventa totalmente incoerente. In altri termini, non sappiamo niente delle leggi fisiche che presiedono al comportamento della materia soggetta a tali temperature.

Torniamo, dopo queste premesse cautelative, ai nostri fossili. La fisica, nel quadro della teoria della relatività, ci dice che la materia del passato era, oltre che più densa, anche più calda. La relazione è semplicemente: la temperatura è inversamente proporzionale alla distanza fra le galassie. Quando due qualsiasi di esse erano due volte più vicine di adesso, l'Universo era due volte più caldo.

L'attuale tasso di allontanamento delle galassie ci consente di calcolare il riscaldamento progressivo soltanto risalendo nel passato. Si arriva così a stimare che 15 miliardi di anni fa la temperatura doveva reputarsi infinita e altrettanto sarà per la densità della materia. Questo istante, dentro questo quadro, si dice "tempo zero" e lo si identifica sovente con l'"inizio dell'Universo". Inutile aggiungere che l'idea stessa di temperatura infinita ha potentemente contribuito a sospingere immaginazioni fertili verso il mito della creazione del mondo.

Il problema sta nel fatto che questo calcolo richiede un'interpolazione ardita, e come si è visto, del tutto ingiustificata. Si è supposto che le leggi della fisica invocate per reggere il corso dell'argomentazione e applicabili alle basse temperature, continuano a asserlo a ogni temperatura, per quanto elevata possa essere. E ciò è manifestamente infondato.

Una conoscenza più approfondita della fisica induce il ricercatore a evocare a questo punto la teoria della relatività generale di Einstein. Questa si può far carico anche della descrizione del cosmo anteriore, suggerita dal movimento di allontanamento reciproco delle galassie. Inseguendo l'evoluzione a ritroso, essa situa alle alte densità l'immagine di una singolarità. Il campo di gravità sarebbe infatti qui così intenso che nulla potrebbe sfuggirgli, nemmeno la luce. La materia sarebbe allora ripiegata su di sè, in un altro spazio-tempo senza comunicazione possibile con l'esterno.

L'idea che l'Universo sia potuto "emergere" da una singolarità dello spazio-tempo è di certo almeno altrettanto suggestiva dell'idea di una temperatura infinita e può forse ancor meglio di quest'ultima alimentare il mito di una "creazione dell'Universo". E così difatti è avvenuto in non pochi scritti, specie in quelli che appartengono all'area della divulgazione scientifica.

Per di più, i primi modelli dell'Universo si collocano nell'ambito di un modello dell'Universo chiuso, provvisto cioè di densità superiore a quella critica. Modelli siffatti hanno due proprietà altamente "mitogene" (adotto questo neologismo a indicare l'attitudine di un modello matematico a eccitare, tramite sue rappresentazioni, le immaginazioni più fertili e ad associarsi a uno dei miti tradizionali dell'immaginario umano). La prima consiste nel fatto che esso "appare" al momento del big bang sotto forma di una massa puntiforme il cui volume va poi espandendosi sino a raggiungere le gigantesche dimensioni che l'Universo mostra oggi. Questa rappresentazione evoca facilmente il mito dell'uovo cosmico di alcune mitologie indiane. Dopo aver attinto la sua dimensione massima, l'Universo chiuso si contrae e la sua espansione s'inverte fino a che, ripiegandosi su di sè, ritrova il suo iniziale stato puntiforme. Sull'abbrivio, esso potrebbe ricominciare e continuar poi all'infinito. Ci troviamo questa volta al cospetto di un altro mito indiano, quello di un'eterna sequenza di creazione e distruzione dell'Universo sotto lo scettro di Shiva che incarna al contempo la figura di Grande Creatore e di Grande Sterminatore cosmico.

Ma ecco ripresentarsi qui una difficoltà. Questa rinverdita immagine di Epinal si fonda su una fisica soltanto classica e ignora del tutto le acquisizioni di quella quantistica. Nessuno oggi è in grado di sapere in quali modi l'assimilazione, di là da venire, della teoria dei quanti potrà alterare questo scenario. Che cosa resterà della singolarità einsteniana? Forse, niente del tutto. Proprio come i buchi neri cessano di essere totalmente neri quando Hawking vi inietta un po' di fisica quantistica.

VIAGGIO AL FONDO DELL'INFERNO

La vera domanda dovrebbe invece essere: fino a quale temperatura è giunto in passato l'Universo? Abbiamo prove sostenibili che esso abbia raggiunto mille, un milione, un miliardo di gradi o più? Una volta ancora lo scienziato deve essere scettico ed esigere giustificazioni solide e inoppugnabili per ogni proposizione che egli formuli.

La scoperta, nel 1965, di Penzias e Wilson della radiazione fossile a 3 kelvin ci consente di dedurre che l'Universo ha raggiunto una temperatura di 3000 kelvin. E' la temperatura minima nel contesto del modello cosmologico permette di dare conto della termalizzazione di questo irraggiamento. Nella nostra cronologia a ritroso questo avvenimento si colloca all'incirca a 15 miliardi di anni da oggi.

Le misure dell'abbondanza relativa degli isotopi dell'idrogeno e dell'elio, nonchè dell'isotopo pesante del litio, ci servono da fossili cronologici. Si può dimostrare che una soddisfacente spiegazione di questi rapporti d'abbondanza implichi come l'Universo sia stato in passato ad almeno 10 miliardi di gradi. E' soltanto infatti a temperature di questo ordine che la materia cosmica può attraversare una fase di reazioni termonucleari atte a produrre questi isotopi. E ancora: lo studio di questa nucleosintesi primordiale ci consente di predire correttamente il numero (3 o 4) di particelle elementari e ci fornisce una stima della densità universale dei nucleoni del tutto compatibile con i dati astronomici (oggi un nucleone circa per metro cubo). Questo evento si situa circa un milione di anni prima dell'emissione della radiazione fossile.

Si noti che questi due fossili si riferiscono a fenomeni fisici ben conosciuti nonchè riproducibili in laboratorio. Qualche elettronvolt per la radiazione fossile, qualche milione di elettronvolt per la nucleosintesi primordiale. Non sarà più così per i fossili ai quali ci accostiamo ora.

Gli scienziati sono sempre un po' demografi e adorano le statistiche sulla popolazione. Abbiamo visto in qual modo la consistenza relativa delle popolazioni d'atomi leggeri, idrogeno, elio, litio, ci sia servita all'identificazione del periodo si nucleosintesi primordiale. Analogamente, si potrebbe stendere una demografia dei fotoni. Possiamo infatti calcolare un miliardo di fotoni per ogni nucleone (protone o neutrone) del nostro Universo. Questi appartengono nella loro quasi totalità alla radiazione fossile della quale ho parlato. L'insieme di tutti gli altri fotoni, nati in maggioranza dalla radiazione delle stelle, rappresenta soltanto un millesimo circa dei fotoni, che circolano nello spazio intersiderale.

Perchè un miliardo di fotoni per ogni nucleone? Perchè non 36 o 0,12 per esempio? Ogni numero cela, nelle scienze, una domanda: perchè proprio questo numero e non un altro? E in certi casi è proprio questo numero a diventare un fossile quando ci narra, anche lui, qualcosa sul passato dell'Universo.

Prima di addentrarci nella risposta a questo interrogativo è necessario avanzarne un altro. Accade infatti che la risposta alle due domande sia la medesima e che divenga essa stessa il nostro più vecchio fossile. La domanda ordunque è: perchè non si osserva antimateria nel nostro Universo?

L'interrogativo acquista tutta la sua rilevanza qualora si sappia che in laboratorio ci sarà simmetria perfetta tra materia e antimateria. In altri termini: ogni volta che una collisione nucleare comporti una particella di materia, essa ne comporterà egualmente una di antimateria, sia questa un antiprotone, un antineutrone o un antielettrone (positrone). Non si danno eccezioni a questa regola. Come render ragione allora del fatto che il nostro Universo sia così violentemente asimmetrico? A eccezione di rarissime antiparticelle della radiazione cosmica, noi non osserviamo infatti antimateria allo stato "naturale" né sulla Terra, né nel sistema solare, né in tutta la nostra galassia o in quelle vicine. Non possiamo escludere, è vero, che le più remote galassie siano fatte di antimateria, ma non c'è nemmeno ragione di pensare che lo siano.

Una risposta comune alle due domande: perchè un miliardo di fotoni per nucleo e perchè una tale asimmetria nella natura rispetto alle due varietà di materia - la materia e l'antimateria - potrebbe, sulla scorta degli schemi della fisica contemporanea, richiamarsi ad avvenimenti occorsi quando l'Universo si trovava a una temperatura prossima di 10^28 gradi, equivalente a un'energia termica media di 10^24 elettronvolt.

Nello stesso ambito di discorso si potrebbe anche dire che la popolazione relativa dei fotoni, assieme all'assenza di antimateria, può essere considerata come un fossile che ci informa che l'Universo ha raggiunto una temperatura di almento 10^28 gradi. Per continuare nella nostra cronologia a ritroso: questo evento si è verificato un centinaio di secondi prima della nucleosintesi primordiale.

A siffatte energie (10^24 eV) siamo assai al di là dei miseri 10^12 eV dei nostri attuali grandi acceleratori. Ciò comporta che l'estrapolazione teorica è ampia e di conseguenza piuttosto azzardata. Per quanto mi concerne, credo che le idee sulle quali poggiano le risposte ai nostri interrogativi siano presumibilmente corrette, qualitativamente almento, ma che siano altresì lontane dall'aver trovato un inquadramento definitivo.

In sunto, abbiamo identificato tre fossili cosmologici che ci consentono di supporre che l'Universo sia stato, in successione e a ritroso, a 3000 gradi 15 miliardi di anni fa, a 10 miliardi di gradi un milione di anni prima e a 10^28 gradi qualche minuto prima ancora. Chi legge avrà senza dubbio fatto caso al brutale accorciamento dei periodi man mano che si procede all'indietro.

LO SPROFONDAMENTO

Possiamo ulteriormente arretrare? Per ora non abbiamo in mano documento né fossile alcuno per poter giustificare un'esplorazione tanto lontana. Non basta: sappiamo anche che, insistendo, andremmo incontro a una situazione piuttosto catastrofica: entreremmo cioè nell'area delle condizioni di Planck di cui dirò.

In fisica abbiamo a che fare con due teorie che suscitano meraviglia, ciascuna nel suo ambito: la fisica dei quanti e la teoria della relatività generale di Einstein.

La prima si adatta alla perfezione allo studio degli atomi e delle loro reciproche interazioni le quali si manifestano in termini di "campo". Nella sua versione più generalizzata, la fisica contemporanea si mostra come un insieme di teorie di campo applicabili, ciascuna, a grandi interazioni: elettromagnetiche, nucleari, deboli, gravitazionali. Il potere predittivo di queste teorie è estremamente elevato mentre il loro ambito applicativo è limitato alle situazioni in cui il campo di gravità non sia particolarmente intenso.

Una seconda condizione è, al contrario, elettivamente adatta al calcolo dei movimenti di materia in regioni a gravità arbitrariamente elevata. Ma essa è incapace di farsi carico delle acquisizioni della fisica dei quanti, cioè del fatto che la materia si presenta alla fin fine non sotto forma di particelle dotate di massa localizzabile indefinitamente in un continuum spaziotemporale, bensì sotto forma di campi quantistici soggetti al principio di indeterminazione di Heisenberg e provvisti di peculiari proprietà matematiche.

Il problema fondamentale della cosmologia contemporanea può essere così formulato: qualora spingessimo l'esplorazione nel passato a temperatire dell'ordine si 10^32 gradi, avremmo a che fare con materia così densa da esigere sia gli strumenti della relatività generale che quelli della meccanica quantistica. I primi in quanto ci troveremmo di fronte a un campo gravitazionale estremamente elevato, i secondi per la necessità di descrivere la materia in termini di quanti. Ed è a questo punto che tutto si complica.

Le difficoltà attengono all'osservazione. A tali energie non esiste infatti risultato sperimentale che sia in disaccordo coi calcoli predittivi della teoria. E' piuttosto sul piano della coerenza interna che sorgono i problemi. In termini tecnici si dice che le teorie attuali passibili d'applicazione a un contesto siffatto sono "non normalizzabili". Ciò vuol dire che certi calcoli, per esempio un calcolo circa le probabilità che un certo evento abbia luogo, danno un valore numerico infinito laddove un responso accettabile dovrebbe collocarsi tra zero e uno...

Si potrebbe illustrare la situazione dicendo che, in queste condizioni, sorge un conflitto tra la delocalizzazione relativa introdotta dalle incertezze della fisica dei quanti e il confinamento assoluto implicato dell'azione di un campo gravitazionale estremamente intenso, come nel caso di un buco nero, per esempio. Le fluttuazioni statistiche del campo quantico alterano in modo imprevedibile la trama spaziotemporale entro cui s'iscrivono i fenomeni descritti dalla relatività generale.

In altri termini: accade tutto come se le tradizionali nozioni di tempo e di spazio divenissero inadatte a descrivere il reale. Termini come "avanti" e "indietro", "avvenire" e "passato" non possono più essere definiti se non in modo ambiguo.

In sintesi, non esiste a tutt'oggi teoria fisica in grado di render conto del comportamento della materia portata alla temperatura di Planck (10^28 gradi). E tutto ciò non certo per deficienza di applicazione da parte dei teorici. Parecchie direzioni di ricerca vengono attivamente esplorate sotto le dizioni di "supersimmetria", "supergravità", "supercorde","modelli compositi" o anche "mini-Universo". Ma tutto è ancora allo stato di programmi verso cui rivolgere una prudente speranza.

I LIMITI DELLA CONOSCENZA

La temperatura di Planck può essere considerata oggi la frontiera della conoscenza e ciò tanto sul versante delle temperature possibili come su quello della nostra esplorazione del passato dell'Universo. Nessuno sa dire se temperature più elevate possano essere raggiunte, né se termini come "temperatura", "energia", "massa", "velocità", "tempo", "spazio" - il vocabolario insomma del fisico, senza di cui questi si sente nudo come l'Imperatore della fiaba di Hans Christian Andersen - siano ancora provvisti di senso. Si capisce allora come dinanzi alla perfida domanda che verte su "ciò che c'era prima" egli ammutolisca. Egli non sa neppure più che cosa, in queste circostanze, potrebbe voler ancora dire la parola "avanti"...

Quando ci si chiede se la fisica contemporanea abbia qualcosa da dire a proposito della "creazione del mondo" o dei "primi tempi" dell'Universo, occorre aver ben presente questo sgomento del fisico.

I nostri fossili ci hanno guidato alla conclusione che in passato l'Universo è stato caldissimo, ad almeno 10 miliardi di gradi per poter spiegare la nucleosintesi primordiale e forse 10^24 gradi per dar conto della demografia fotonica e della rarità della materia. Lo stato attuale della teoria fisica ci insegna che, a conti fatti, ciò che si potrebbe convenir di chiamare "il muro dell'ignoranza" si colloca attorno ai 10^28 gradi. Quelli che noi tocchiamo a quel punto non sono affatto i limiti del mondo, bensì quelli della nostra conoscenza. Di quanto si situi "al di là", sia esso temperatura o un "avanti" nel tempo, non siamo in grado di dire niente. Le pretese relative a una spiegazione della creazione o del "perchè esista qualcosa invece che niente" devono essere sostituite da pura e semplice constatazione d'ignoranza.

In compenso l'espressione "primi tempi del mondo" acquista qui un senso nuovo. Se il concetto "tempo" diventa inapplicabile in prossimità della temperatura di Planck, rimane attivo a temperature inferiori. E' lecito dunque parlare di "primi tempi" non nell'ottica infondata di un qualcosa che seguirebbe un mitico "tempo zero", ma nella prospettiva secondo cui il concetto di fa applicabile. Si sarebbe tentati di dire "diventa applicabile per la prima volta", se codesta espressione non suonasse essa stessa un po' contradditoria.

Non si può escludere, sia chiaro, che i tentativi volti a penetrare i segreti della fisica delle altissime temperature riescano a restituire a tempo e spazio il loro ruolo convenzionale. Che possano in tal modo riconferire senso alla domanda su "che cosa" c'era prima, che ci consentano, infine, di arretrare ancora di un passo verso verosimili nuove frontiere. La fisica è una scienza in costante progresso (come gli esploratori dei nuovi continenti). Per ora siamo come impantanati nella gora delle incoerenze interne. Ma potremmo, prima o poi, uscirne.


Tratto da: AA.VV.Dalle stelle al pensiero, Linea d'ombra 1993
Articolo di: Reeves Hubert, I primi tempi dell'Universo [pp.17-31]

 
 Webmaster: Roberto Onuspi  Redazione: Scienza & Divulgazione