Hubert Reeves
~ I primi tempi
dell'Universo «
L'astrofisica
contemporanea affronta questioni attinenti all'ambito che nella filosofia
tradizionale va sotto il nome di metafisica. La tentazione è dunque di
prendere decisioni affrettate. Ci si può lasciar sedurre dall'idea che la
scienza sia in grado oggi di offrire soluzioni ad antiche e venerabili
interrogazioni metafisiche. Si può altresì immaginare che, secondo il
bimillenario voto di Epicuro, essa sia oggi in grado di alleviare le
nostre "angosce metafisiche".
Diviene dunque di grande importanza analizzare queste questioni con occhio
critico e procedere su di un terreno così insidioso usando la massima
prudenza. Cerchiamo di non dimenticare come vi si siano irrimediabilmente
impantanati numerosi ricercatori abbagliati dall'entusiasmo e dal
desiderio di avventurarsi in contrade inesplorate.
L'interrogazione metafisica fondamentale verte sull'essere ed è
mirabilmente posta nel famoso interrogativo di Leibniz: "Perchè
esiste qualcosa invece che nulla?". Questa domanda sembra a me un
"grido del cuore", espressione dell'intensa emozione che sgorga
dalla presa di coscienza del nostro esistere. La vedo assai meno come
domanda vera e propria cui si possa sperare di fornire un giorno brandelli
di risposta che non siano tautologici tanto sul versante filosofico che su
quello scientifico.
Ciononostante, alcuni scrittori di cose scientifiche hanno lasciato
credere che fisica e astrofisica contemporanee sarebbero in grado di
produrre al riguardo nuove proposizioni, ossia soddisfacenti spiegazioni.
Ma si può subito avanzare una difficoltà fondamentale cui è arduo
sfuggire. Ed è che il procedere scientifico abituale consiste nel cercare
di spiegare il "qualche cosa" in termini di "altra
cosa". Questa "altra cosa", identificata che sia, va
fatalmente in cerca di una spiegazione in termini di "altra cosa
ancora". E così via.
Le conoscenze scientifiche ci si presentano infatti sovente nella forma di
una catena di "perchè" interconnessi, 'inscatolati'. Prendiamo
il classico esempio delle mele che cadono. Le mele cadono perchè la
terra le attira dice Sir Isaac Newton. La Terra attira le mele
perchè la sua massa altera la geometria dello spazio, replica
Albert Einstein. Non si sa ancor bene davvero "perchè la massa
modifica la geometria". Oggi si tenta di formulare una teoria
unificata delle forze fisiche, teoria che conterrà una risposta alla
nostra domanda in termini di un "perchè" che rimanderà
fatalmente a un "qualcosa d'altro".
Il tutto per dire come sia impensabile spiegare qualcosa in termini di
"nulla". Ed è per l'appunto qui che conduce ogni tentativo si
spiegare la "creazione" nel senso proprio del termine. Si tratta
niente di meno che di un tentativo di rendere conto del passaggio dal
nulla a un qualcosa che esiste.
Il fatto di disporre parole qua e là può ingenerare la dannosa illusione
che sappiamo di che cosa si parla. L'ultima frase del paragrafo
precedente ben illustra codesta illusione. Essa sembra provvista di senso.
Ma se si assume che il termine "nulla" è per definizione vuoto
di senso, sarà doveroso concludere che "passaggio" non può in
nessun caso essergli associato. Si tratta, qui, dell'estensione indebita
della nozione "passare da una cosa all'altra" all'idea che una
di queste due cose possa consistere nel "nulla"....
IL MITO ORIGINARIO
La teoria cosmologica chiamata big bang ha fatto nascere l'idea che
l'astrofisica abbia oggi qualcosa da dire sull'origine o sull'inizio del
cosmo. Si sarebbe infatti individuata la creazione del mondo, da situarsi
all'ora "zero" dell'orologio cosmico che fissa l'età
dell'Universo in 15 miliardi di anni. Papa Pio XII ha identificato senza
esitazione questo avvenimento con il biblico Fiat Lux.
La tentazione di "mitologizzare" è sempre presente all'uomo ed
è per lui naturale il cercar di sovrapporre immagini familiari a realtà
che lo stupiscono. Si capisce dunque agevolmente come un'immaginazione
fervida abbia potuto accompagnare una teoria fisica con un mito atemporale
e perciò stesso seducente (ma si potrebbe dire seducente e perciò
atemporale). Così, diventa dovere del fisico rivolgere alla questione uno
sguardo improntato a quel rigore senza compiacimento che è proprio del
ragionamento scientifico ben condotto, rigore che gli ha conferito
efficacia. Che cosa resta dunque di questa mitologia e delle sue pretese
metafisiche quando lo sguardo critico la indaga? Siamo autorizzati a
mantenere nel nostro linguaggio espressioni quali "nascita
dell'Universo" o "primi istanti dell'Universo"?.
ESPLORARE IL PASSATO
Bisogna considerare questa problematica come un'esplorazione del passato
e, come sempre, è importante partire col piede giusto. Il che significa:
dal giusto posto. Buon punto d'avvio è l'istante presente... Il nostro
"tempo zero" segna l'oggi ed è per l'appunto da qui che prenderà
avvio il nostro conto alla rovescia.
Gli esploratori del secolo scorso affrontavano le terre sconosciute
partendo dalle coste e progressivamente inoltrandosi verso l'interno,
nelle regioni ancor bianche sulla carta geografica, quelle designate con
la dicitura di terrae incognitae, "terre sconosciute". Di
anno in anno, grazie ai loro sforzi, arretravano la frontiera
dell'inesplorato. Le lettere inviate alle famiglie, i rendiconti spediti
alle Accademie patrocinatrici davano conto delle loro scoperte: laghi,
deserti, catene montuose, incontri con popolazioni aborigene.
Se si fosse domandato loro: "Ma che cosa c'è oltre il territorio che
avete esplorato fino ad oggi?", essi avrebbero risposto in tutta
naturalezza: "Per ora non ne sappiamo nulla. Abbiate pazienza,
aspettate che ci arriviamo." Allo stesso modo, lasciando la costa per
inoltrarci verso l'interno, anche noi ci mettiamo in viaggio onde risalire
il passato. E' importante delineare la frontiera che delimita la zona
inesplorata, là dove cominciano le terrae incognitae della ricerca
contemporanea.
Si potrebbe paragonare la nostra impresa a quella dello studioso di
preistoria che voglia ricostruire il lontano passato dell'uomo. Gli
occorrono imprescindibilmente dei "fossili", oggetti cioè
tramite i quali possa descrivere uno stato di fatto oggi scomparso ma che
abbia lasciato tracce. In assenza di ogni testimonianza, silici modellate,
pitture rupersti, ceneri di fuochi estinti da tempi remoti, pietre
confitte nel suolo ecc., il paleontologo si troverebbe, ad esempio, nella
totale impossibilità di parlare dell'uomo di Cro-Magnon che abitava il Périgord
di 18.000 anni or sono. Alla stessa stregua, senza "fossili
cosmologici", l'astrofisico non potrebbe proporsi di risalire il
corso del tempo verso l'universo primigenio. La credibilità delle sue
affermazioni è strettamente connessa alla natura dei fossili che riesce a
scovare come anche all'abilità nel correttamente interpretarli.
Il lavoro dell'astrofisico durante i trascorsi decenni è consistito
nell'individuare un certo numero di fossili e nel tentare di ricavarne un
messaggio. Nel contesto dell'astrofisica, un fossile è un dato di
osservazione la cui grandezza fisica misurabile è stata determinata da
eventi svaniti da lunghissimo tempo. Questi dati conservano, in qualche
modo, il ricordo di quegli avvenimenti consentendoci di ricostruirli.
Abbiamo così una piccola collezione di fossili i quali, ciascuno a
proprio modo, ci forniscono informazioni su di una data epoca del lontano
passato dell'Universo. Sono queste le tappe del nostro viaggio di
esplorazione.
IL TEMPO HA AVUTO UN INIZIO?
Il movimento di allontanamento delle galassie l'una dall'altra ci dice che
la materia cosmica va diluendosi, il che sta a significare ovviamente che
in passato essa era più densa.
Per interpretare quest'informazione noi ci rifacciamo alla conoscenza
delle leggi fisiche che governano la materia. In tale contesto affrontiamo
da subito un problema che diverrà presto cruciale. La nostra conoscenza,
va detto, si fonda su esperimenti di laboratorio ed è conseguenza
circoscritta ai limiti stessi dei procedimenti sperimentali. Oggi i nostri
acceleratori più potenti raggiungono mille miliardi (10^12) di
elettronvolt. La teoria si spinge oltre questo limite diventando però
marcatamente speculativa e da affrontarsi di conseguenza con la massima
cautela. Per di più, quando vengono raggiunte le condizioni dette
"di Planck" (attorno ai 10^32 gradi), essa diventa totalmente
incoerente. In altri termini, non sappiamo niente delle leggi fisiche che
presiedono al comportamento della materia soggetta a tali temperature.
Torniamo, dopo queste premesse cautelative, ai nostri fossili. La fisica,
nel quadro della teoria della relatività, ci dice che la materia del
passato era, oltre che più densa, anche più calda. La relazione è
semplicemente: la temperatura è inversamente proporzionale alla distanza
fra le galassie. Quando due qualsiasi di esse erano due volte più vicine
di adesso, l'Universo era due volte più caldo.
L'attuale tasso di allontanamento delle galassie ci consente di calcolare
il riscaldamento progressivo soltanto risalendo nel passato. Si arriva così
a stimare che 15 miliardi di anni fa la temperatura doveva reputarsi
infinita e altrettanto sarà per la densità della materia. Questo
istante, dentro questo quadro, si dice "tempo zero" e lo si
identifica sovente con l'"inizio dell'Universo". Inutile
aggiungere che l'idea stessa di temperatura infinita ha potentemente
contribuito a sospingere immaginazioni fertili verso il mito della
creazione del mondo.
Il problema sta nel fatto che questo calcolo richiede un'interpolazione
ardita, e come si è visto, del tutto ingiustificata. Si è supposto che
le leggi della fisica invocate per reggere il corso dell'argomentazione e
applicabili alle basse temperature, continuano a asserlo a ogni
temperatura, per quanto elevata possa essere. E ciò è manifestamente
infondato.
Una conoscenza più approfondita della fisica induce il ricercatore a
evocare a questo punto la teoria della relatività generale di Einstein.
Questa si può far carico anche della descrizione del cosmo anteriore,
suggerita dal movimento di allontanamento reciproco delle galassie.
Inseguendo l'evoluzione a ritroso, essa situa alle alte densità
l'immagine di una singolarità. Il campo di gravità sarebbe infatti qui
così intenso che nulla potrebbe sfuggirgli, nemmeno la luce. La materia
sarebbe allora ripiegata su di sè, in un altro spazio-tempo senza
comunicazione possibile con l'esterno.
L'idea che l'Universo sia potuto "emergere" da una singolarità
dello spazio-tempo è di certo almeno altrettanto suggestiva dell'idea di
una temperatura infinita e può forse ancor meglio di quest'ultima
alimentare il mito di una "creazione dell'Universo". E così
difatti è avvenuto in non pochi scritti, specie in quelli che
appartengono all'area della divulgazione scientifica.
Per di più, i primi modelli dell'Universo si collocano nell'ambito di un
modello dell'Universo chiuso, provvisto cioè di densità superiore a
quella critica. Modelli siffatti hanno due proprietà altamente "mitogene"
(adotto questo neologismo a indicare l'attitudine di un modello matematico
a eccitare, tramite sue rappresentazioni, le immaginazioni più fertili e
ad associarsi a uno dei miti tradizionali dell'immaginario umano). La
prima consiste nel fatto che esso "appare" al momento del big
bang sotto forma di una massa puntiforme il cui volume va poi espandendosi
sino a raggiungere le gigantesche dimensioni che l'Universo mostra oggi.
Questa rappresentazione evoca facilmente il mito dell'uovo cosmico di
alcune mitologie indiane. Dopo aver attinto la sua dimensione massima,
l'Universo chiuso si contrae e la sua espansione s'inverte fino a che,
ripiegandosi su di sè, ritrova il suo iniziale stato puntiforme.
Sull'abbrivio, esso potrebbe ricominciare e continuar poi all'infinito. Ci
troviamo questa volta al cospetto di un altro mito indiano, quello di
un'eterna sequenza di creazione e distruzione dell'Universo sotto lo
scettro di Shiva che incarna al contempo la figura di Grande Creatore e di
Grande Sterminatore cosmico.
Ma ecco ripresentarsi qui una difficoltà. Questa rinverdita immagine di
Epinal si fonda su una fisica soltanto classica e ignora del tutto le
acquisizioni di quella quantistica. Nessuno oggi è in grado di sapere in
quali modi l'assimilazione, di là da venire, della teoria dei quanti potrà
alterare questo scenario. Che cosa resterà della singolarità einsteniana?
Forse, niente del tutto. Proprio come i buchi neri cessano di essere
totalmente neri quando Hawking vi inietta un po' di fisica quantistica.
VIAGGIO AL FONDO DELL'INFERNO
La vera domanda dovrebbe invece essere: fino a quale temperatura è giunto
in passato l'Universo? Abbiamo prove sostenibili che esso abbia raggiunto
mille, un milione, un miliardo di gradi o più? Una volta ancora lo
scienziato deve essere scettico ed esigere giustificazioni solide e
inoppugnabili per ogni proposizione che egli formuli.
La scoperta, nel 1965, di Penzias e Wilson della radiazione fossile a 3
kelvin ci consente di dedurre che l'Universo ha raggiunto una temperatura
di 3000 kelvin. E' la temperatura minima nel contesto del modello
cosmologico permette di dare conto della termalizzazione di questo
irraggiamento. Nella nostra cronologia a ritroso questo avvenimento si
colloca all'incirca a 15 miliardi di anni da oggi.
Le misure dell'abbondanza relativa degli isotopi dell'idrogeno e
dell'elio, nonchè dell'isotopo pesante del litio, ci servono da fossili
cronologici. Si può dimostrare che una soddisfacente spiegazione di
questi rapporti d'abbondanza implichi come l'Universo sia stato in passato
ad almeno 10 miliardi di gradi. E' soltanto infatti a temperature di
questo ordine che la materia cosmica può attraversare una fase di
reazioni termonucleari atte a produrre questi isotopi. E ancora: lo studio
di questa nucleosintesi primordiale ci consente di predire correttamente
il numero (3 o 4) di particelle elementari e ci fornisce una stima della
densità universale dei nucleoni del tutto compatibile con i dati
astronomici (oggi un nucleone circa per metro cubo). Questo evento si
situa circa un milione di anni prima dell'emissione della radiazione
fossile.
Si noti che questi due fossili si riferiscono a fenomeni fisici ben
conosciuti nonchè riproducibili in laboratorio. Qualche elettronvolt per
la radiazione fossile, qualche milione di elettronvolt per la
nucleosintesi primordiale. Non sarà più così per i fossili ai quali ci
accostiamo ora.
Gli scienziati sono sempre un po' demografi e adorano le statistiche sulla
popolazione. Abbiamo visto in qual modo la consistenza relativa delle
popolazioni d'atomi leggeri, idrogeno, elio, litio, ci sia servita
all'identificazione del periodo si nucleosintesi primordiale.
Analogamente, si potrebbe stendere una demografia dei fotoni. Possiamo
infatti calcolare un miliardo di fotoni per ogni nucleone (protone o
neutrone) del nostro Universo. Questi appartengono nella loro quasi
totalità alla radiazione fossile della quale ho parlato. L'insieme di
tutti gli altri fotoni, nati in maggioranza dalla radiazione delle stelle,
rappresenta soltanto un millesimo circa dei fotoni, che circolano nello
spazio intersiderale.
Perchè un miliardo di fotoni per ogni nucleone? Perchè non 36 o 0,12 per
esempio? Ogni numero cela, nelle scienze, una domanda: perchè proprio
questo numero e non un altro? E in certi casi è proprio questo numero a
diventare un fossile quando ci narra, anche lui, qualcosa sul passato
dell'Universo.
Prima di addentrarci nella risposta a questo interrogativo è necessario
avanzarne un altro. Accade infatti che la risposta alle due domande sia la
medesima e che divenga essa stessa il nostro più vecchio fossile. La
domanda ordunque è: perchè non si osserva antimateria nel nostro
Universo?
L'interrogativo acquista tutta la sua rilevanza qualora si sappia che in
laboratorio ci sarà simmetria perfetta tra materia e antimateria. In
altri termini: ogni volta che una collisione nucleare comporti una
particella di materia, essa ne comporterà egualmente una di antimateria,
sia questa un antiprotone, un antineutrone o un antielettrone (positrone).
Non si danno eccezioni a questa regola. Come render ragione allora del
fatto che il nostro Universo sia così violentemente asimmetrico? A
eccezione di rarissime antiparticelle della radiazione cosmica, noi non
osserviamo infatti antimateria allo stato "naturale" né sulla
Terra, né nel sistema solare, né in tutta la nostra galassia o in quelle
vicine. Non possiamo escludere, è vero, che le più remote galassie siano
fatte di antimateria, ma non c'è nemmeno ragione di pensare che lo siano.
Una risposta comune alle due domande: perchè un miliardo di fotoni per
nucleo e perchè una tale asimmetria nella natura rispetto alle due varietà
di materia - la materia e l'antimateria - potrebbe, sulla scorta degli
schemi della fisica contemporanea, richiamarsi ad avvenimenti occorsi
quando l'Universo si trovava a una temperatura prossima di 10^28 gradi,
equivalente a un'energia termica media di 10^24 elettronvolt.
Nello stesso ambito di discorso si potrebbe anche dire che la popolazione
relativa dei fotoni, assieme all'assenza di antimateria, può essere
considerata come un fossile che ci informa che l'Universo ha raggiunto una
temperatura di almento 10^28 gradi. Per continuare nella nostra cronologia
a ritroso: questo evento si è verificato un centinaio di secondi prima
della nucleosintesi primordiale.
A siffatte energie (10^24 eV) siamo assai al di là dei miseri 10^12 eV
dei nostri attuali grandi acceleratori. Ciò comporta che l'estrapolazione
teorica è ampia e di conseguenza piuttosto azzardata. Per quanto mi
concerne, credo che le idee sulle quali poggiano le risposte ai nostri
interrogativi siano presumibilmente corrette, qualitativamente almento, ma
che siano altresì lontane dall'aver trovato un inquadramento definitivo.
In sunto, abbiamo identificato tre fossili cosmologici che ci consentono
di supporre che l'Universo sia stato, in successione e a ritroso, a 3000
gradi 15 miliardi di anni fa, a 10 miliardi di gradi un milione di anni
prima e a 10^28 gradi qualche minuto prima ancora. Chi legge avrà senza
dubbio fatto caso al brutale accorciamento dei periodi man mano che si
procede all'indietro.
LO SPROFONDAMENTO
Possiamo ulteriormente arretrare? Per ora non abbiamo in mano documento né
fossile alcuno per poter giustificare un'esplorazione tanto lontana. Non
basta: sappiamo anche che, insistendo, andremmo incontro a una situazione
piuttosto catastrofica: entreremmo cioè nell'area delle condizioni di
Planck di cui dirò.
In fisica abbiamo a che fare con due teorie che suscitano meraviglia,
ciascuna nel suo ambito: la fisica dei quanti e la teoria della relatività
generale di Einstein.
La prima si adatta alla perfezione allo studio degli atomi e delle loro
reciproche interazioni le quali si manifestano in termini di
"campo". Nella sua versione più generalizzata, la fisica
contemporanea si mostra come un insieme di teorie di campo applicabili,
ciascuna, a grandi interazioni: elettromagnetiche, nucleari, deboli,
gravitazionali. Il potere predittivo di queste teorie è estremamente
elevato mentre il loro ambito applicativo è limitato alle situazioni in
cui il campo di gravità non sia particolarmente intenso.
Una seconda condizione è, al contrario, elettivamente adatta al calcolo
dei movimenti di materia in regioni a gravità arbitrariamente elevata. Ma
essa è incapace di farsi carico delle acquisizioni della fisica dei
quanti, cioè del fatto che la materia si presenta alla fin fine non sotto
forma di particelle dotate di massa localizzabile indefinitamente in un
continuum spaziotemporale, bensì sotto forma di campi quantistici
soggetti al principio di indeterminazione di Heisenberg e provvisti di
peculiari proprietà matematiche.
Il problema fondamentale della cosmologia contemporanea può essere così
formulato: qualora spingessimo l'esplorazione nel passato a temperatire
dell'ordine si 10^32 gradi, avremmo a che fare con materia così densa da
esigere sia gli strumenti della relatività generale che quelli della
meccanica quantistica. I primi in quanto ci troveremmo di fronte a un
campo gravitazionale estremamente elevato, i secondi per la necessità di
descrivere la materia in termini di quanti. Ed è a questo punto che tutto
si complica.
Le difficoltà attengono all'osservazione. A tali energie non esiste
infatti risultato sperimentale che sia in disaccordo coi calcoli
predittivi della teoria. E' piuttosto sul piano della coerenza interna che
sorgono i problemi. In termini tecnici si dice che le teorie attuali
passibili d'applicazione a un contesto siffatto sono "non
normalizzabili". Ciò vuol dire che certi calcoli, per esempio un
calcolo circa le probabilità che un certo evento abbia luogo, danno un
valore numerico infinito laddove un responso accettabile dovrebbe
collocarsi tra zero e uno...
Si potrebbe illustrare la situazione dicendo che, in queste condizioni,
sorge un conflitto tra la delocalizzazione relativa introdotta dalle
incertezze della fisica dei quanti e il confinamento assoluto implicato
dell'azione di un campo gravitazionale estremamente intenso, come nel caso
di un buco nero, per esempio. Le fluttuazioni statistiche del campo
quantico alterano in modo imprevedibile la trama spaziotemporale entro cui
s'iscrivono i fenomeni descritti dalla relatività generale.
In altri termini: accade tutto come se le tradizionali nozioni di tempo e
di spazio divenissero inadatte a descrivere il reale. Termini come
"avanti" e "indietro", "avvenire" e
"passato" non possono più essere definiti se non in modo
ambiguo.
In sintesi, non esiste a tutt'oggi teoria fisica in grado di render conto
del comportamento della materia portata alla temperatura di Planck (10^28
gradi). E tutto ciò non certo per deficienza di applicazione da parte dei
teorici. Parecchie direzioni di ricerca vengono attivamente esplorate
sotto le dizioni di "supersimmetria", "supergravità",
"supercorde","modelli compositi" o anche "mini-Universo".
Ma tutto è ancora allo stato di programmi verso cui rivolgere una
prudente speranza.
I LIMITI DELLA CONOSCENZA
La temperatura di Planck può essere considerata oggi la frontiera della
conoscenza e ciò tanto sul versante delle temperature possibili come su
quello della nostra esplorazione del passato dell'Universo. Nessuno sa
dire se temperature più elevate possano essere raggiunte, né se termini
come "temperatura", "energia", "massa",
"velocità", "tempo", "spazio" - il
vocabolario insomma del fisico, senza di cui questi si sente nudo come
l'Imperatore della fiaba di Hans Christian Andersen - siano ancora
provvisti di senso. Si capisce allora come dinanzi alla perfida domanda
che verte su "ciò che c'era prima" egli ammutolisca. Egli non
sa neppure più che cosa, in queste circostanze, potrebbe voler ancora
dire la parola "avanti"...
Quando ci si chiede se la fisica contemporanea abbia qualcosa da dire a
proposito della "creazione del mondo" o dei "primi
tempi" dell'Universo, occorre aver ben presente questo sgomento del
fisico.
I nostri fossili ci hanno guidato alla conclusione che in passato
l'Universo è stato caldissimo, ad almeno 10 miliardi di gradi per poter
spiegare la nucleosintesi primordiale e forse 10^24 gradi per dar conto
della demografia fotonica e della rarità della materia. Lo stato attuale
della teoria fisica ci insegna che, a conti fatti, ciò che si potrebbe
convenir di chiamare "il muro dell'ignoranza" si colloca attorno
ai 10^28 gradi. Quelli che noi tocchiamo a quel punto non sono affatto i
limiti del mondo, bensì quelli della nostra conoscenza. Di quanto si
situi "al di là", sia esso temperatura o un "avanti"
nel tempo, non siamo in grado di dire niente. Le pretese relative a una
spiegazione della creazione o del "perchè esista qualcosa invece che
niente" devono essere sostituite da pura e semplice constatazione
d'ignoranza.
In compenso l'espressione "primi tempi del mondo" acquista qui
un senso nuovo. Se il concetto "tempo" diventa inapplicabile in
prossimità della temperatura di Planck, rimane attivo a temperature
inferiori. E' lecito dunque parlare di "primi tempi" non
nell'ottica infondata di un qualcosa che seguirebbe un mitico "tempo
zero", ma nella prospettiva secondo cui il concetto di fa
applicabile. Si sarebbe tentati di dire "diventa applicabile per la
prima volta", se codesta espressione non suonasse essa stessa un po'
contradditoria.
Non si può escludere, sia chiaro, che i tentativi volti a penetrare i
segreti della fisica delle altissime temperature riescano a restituire a
tempo e spazio il loro ruolo convenzionale. Che possano in tal modo
riconferire senso alla domanda su "che cosa" c'era prima, che ci
consentano, infine, di arretrare ancora di un passo verso verosimili nuove
frontiere. La fisica è una scienza in costante progresso (come gli
esploratori dei nuovi continenti). Per ora siamo come impantanati nella
gora delle incoerenze interne. Ma potremmo, prima o poi, uscirne.
Tratto da: AA.VV.Dalle stelle al pensiero, Linea d'ombra 1993
Articolo di: Reeves Hubert, I primi tempi dell'Universo [pp.17-31] |