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John Boslough

~ Lenti paradigmatiche «

 

Quando era un giovane studente di fisica teorica a Harvard, nel 1947, Kuhn era stato turbato dall'assoluta erroneità delle idee scientifiche degli antichi. Un giorno gli fu chiesto se volesse tenere una serie di lezioni di storia della meccanica. Egli accettò, e poi si immerse nello studio dell'argomento, pervenendo così alle origini della scienza della dinamica, nella Grecia del IV secolo a.C.

Leggendo la Fisica di Aristotele, Kuhn fu colpito da ciò che vi trovò. Non si poteva certo negare l'immensa dottrina di Aristotele, il suo stile acuto e l'originalità del suo pensiero, che lo poneva fra i creatori della scienza. Tutte queste erano cose che Kuhn si era atteso di trovare nei suoi scritti. Fu invece stupito nel trovare che Aristotele aveva commesso errori terribili riflettendo sulla dinamica.

Kuhn fu particolarmente irritato dalle idee di Aristotele sulla gravità. Secondo la teoria di Aristotele un oggetto cadeva tanto più velocemente quanto più era pesante. Evidentemente Aristotele aveva confuso gli effetti dell' attrazione di gravità con la distanza alla quale un oggetto poteva essere lanciato. L'autorità della teoria aristotelica era durata per due millenni. Infine Galilei, il primo vero scienziato moderno, decise di vedere con i propri occhi che cosa accadeva a un oggetto in caduta libera.

Quanto più Kuhn ci rifletteva, tanto più era turbato dalle idee di Aristotele. In ogni campo diverso da quello della fisica le osservazioni di Aristotele erano state acute e penetranti. In biologia e nel pensiero politico, per esempio, le sue idee erano estremamente appropriate. Nell'esame del moto, però, le doti eccezionali del filosofo erano venute meno completamente.

<<Come mai aveva detto su questo argomento tante cose evidentemente assurde?>>,si chiese Kuhn. <<E soprattutto perchè le sue idee erano state prese così sul serio, per un tempo tanto lungo? Più lo leggevo, più le mie idee diventavano confuse. Aristotele poteva naturalmente avere torto - ed io non avevo dubbi che lo avesse - ma non si poteva pensare che i suoi errori fossero così clamorosi>>. Kuhn non riuscì a trovare la risposta. Era semplicemente impossibile che un uomo della levatura intellettuale di Aristotele avesse sbagliato così grossolanamente sulla natura del moto.

Un caldo giorno d'estate Kuhn si rese conto improvvisamente che era stato lui a leggere Aristotele nel modo sbagliato. In un momento di ispirazione capì che Aristotele non era stato affatto in errore; semplicemente, aveva gurdato il mondo in modo diverso. Nell'ottica di Aristotele, le teorie sul mondo esposte nella Fisica erano del tutto compatibili con ciò che mostrava l'osservazione.

Una volta che Kuhn ebbe adottato il punto di vista di Aristotele, la scienza aristotelica divenne improvvisamente cristallina. Dopo tutto non era sbagliata. Era solo un modo diverso di guardare la natura

Illuminato da questa nuova prospettiva, Kuhn lesse Aristotele con rinnovato fervore e vide il mondo aristotelico dispiegarsi innanzi a sè in una luce nuova. Ora era un universo logico, coerente. Quanto più Kuhn leggeva, tanto più si rendeva conto di quanto fosse impossibile tracciare una qualsiasi sorta di analogia tra il mondo aristotelico e concetti moderni sulla materia e sul moto.

<<Non sono diventato per questo un fisico aristotelico>>, ricordò Kuhn, <<ma ho imparato in certo qual modo a pensare come se lo fossi>>.

La nuova lettura di Aristotele gli aveva rivelato un mutamento globale nel modo in cui le persone consideravano la natura e applicavano ad essa il linguaggio. Dal tempo di Aristotele fino a noi la scienza non aveva progredito semplicemente attraverso l'accumulo di nuovi dati o la correzione, qua e là, di singoli errori.

Venti anni prima, gli storici della scienza Edwin A. Burtt e Alexandre Koyré avevano studiato la rivoluzione scientifica del Seicento e avevano visto la stessa cosa. Essi avevano riconosciuto che la rivoluzione scientifica aveva implicato un insieme del tutto nuovo di assunti metafisici; la rivoluzione nel pensiero si era verificata come conseguenza di un mutamento nei concetti, più che attraverso una serie di nuove scoperte.

Kuhn fu galvanizzato da questa scoperta, e ben presto passò alla lettura di libri sulla scuola di psicologia della Gestalt, la quale interpretava i fenomeni della percezione come totalità organizzate piuttosto che come aggregati di parti distinte. Secondo la teoria della Gestalt, un'immagine visiva o un corpus di conoscenza non poteva essere analizzato nei termini dei suoi componenti: il tutto era maggiore della parti.

<<Scoprendo la storia, avevo individuato la mia prima rivoluzione scientifica>>, disse.

[...]

Negli anni seguenti Kuhn cominciò a rendersi conto che il corpus di conoscenza per qualsiasi particolare comunità scientifica era come un'illusione gestaltica condivisa. Guardando un mondo comune attraverso occhiali colorati della stessa tonalità, gli scienziati condividevano assunti, supposizioni e attese sul mondo. Uno studente poteva entrare in una comunità scientifica soltanto mettendo gli occhiali gestaltici portati dai membri accettati dal gruppo.

In che modo una comunità scientifica poteva cambiare i suoi occhiali? Kuhn si rese subito conto che un cambiamento di occhiali poteva avvenire solo attraverso una rivoluzione. Una concezione del mondo doveva essere sostituita da un'altra: tutto qui.

Estremamente prudente, Kuhn non pubblicò le sue idee fino al 1962, nel libro intitolato La struttura delle rivoluzioni scientifiche. A quell'epoca aveva adottato, per descrivere la visione del mondo di una qualsiasi comunità scientifica specifica, la parola paradigma. Semplice ed elegante, l'idea delle rivoluzioni come mezzo per sostituire un paradigma con un altro paradigma attecchì rapidamente.

In un sol colpo, Kuhn aveva spiegato tante cose che in precedenza erano apparse confuse, sradicando idee esistenti sul modo di progredire della scienza. Per molti Kuhn aveva in effetti cambiato per sempre il modo in cui veniva considerato ogni sviluppo storico.

[...]

Per una curiosa ironia della sorte, lo stesso Kuhn aveva creato un paradigma così potente per osservare lo sviluppo della civiltà che non sembrava più possibile guardare al mondo se non attraverso le sue speciali lenti paradigmatiche. L'idea aveva assunto l'aspetto di una grande verità, e tuttavia aveva i suoi detrattori. Gli scienziati si divisero in due campi: i kuhniani accaniti e gli antikuhniani.

John Bahcall, astrofisico senior all'Institute for Advanced Study e leader sui neutrini solari, era un credente del nuovo verbo di Kuhn. Secondo lui la scienza era cambiata attraverso una serie di rivoluzioni. La gravitazione aristotelica era stata rovesciata e sostituita da Galilei e da Newton, che a loro volta erano stati sostituiti da Einstain. Bahcall era convinto che anche il presente paradigma fosse destinato a cadere. Ciò nonostante, si rese conto Bahcall, la maggior parte degli scienziati avrebbero probabilmente rifiutato le idee di Kuhn.

[...]

Essi lessero la sua analisi storica come un attacco alla validità di qualsiasi tipo di verità scientifica. In effetti la parola verità era apparsa nella Struttura delle rivoluzioni scientifiche solo come una citazione da Francesco Bacone. Lo stesso Kuhn aveva affermato che non credeva in una grandiosa verità scientifica finale esistente nel mondo. La millenaria guerra fredda fra scienza e teleologia era riapparsa infine anche nel libro di Kuhn.

Questi riconobbe che la scienza era progredita a partire da umili inizi, ma non era diretta verso alcun piano supremo. Questa nuova prospettiva storica sembrava quasi perfetta per il più relativistico di tutti i secoli, qual'è il nostro.

Giusto o sbagliato che fosse, le rivoluzioni di Kuhn sembravano fornire un mezzo per guardare a un mondo moderno: un'epoca di etica situazionale e di norme morali elastiche; un tempo in cui una parte importante della scienza si fondava su un insieme di teorie sotto l'intitolazione generale della relatività o sotto un nebuloso principio di indeterminazione; un'epoca che aveva abbandonato princìpi anteriori di giusto o ingiusto assoluto, di bene o male assoluto e ora, evidentemente, anche la possibilità di una verità assoluta.


Tratto da: Boslough J. I Signori del Tempo, Garzanti 1998 [pp.153-159]

 
 Webmaster: Roberto Onuspi  Redazione: Scienza & Divulgazione